Nato nel dopoguerra, divenne il concorso a premi più popolare della domenica degli italiani, alle prese con la ricostruzione del Paese: ecco "La lunga storia del Totocalcio" di Luca Pollini tratto dagli archivi di Focus Storia.
L'emblema del boom economico. È stata la compagna della domenica preferita dagli italiani: raramente baciata o accarezzata, quasi sempre strapazzata, insultata o fatta a pezzi. Ma tant'è, la settimana dopo si voleva ancora passare la domenica in sua compagnia. La schedina del Totocalcio ha accompagnato l'Italia e gli italiani alla rinascita e a sogni milionari: un azzardo innocuo che negli Anni '50 infiammò un popolo distrutto dalla guerra, ma pronto a scommettere sulla fortuna. Così, in pochi anni, il montepremi crebbe rapidamente, quasi come l'industria, il reddito medio e le strade. E il Totocalcio divenne una sorta di emblema del miracolo economico di un Paese piegato ma pronto a rialzarsi.
Il nuovo mondo. Era il 1946, l'anno del referendum "monarchia o repubblica". L'Italia si leccava le ferite di una lunga guerra: circolavano pochissime automobili, la maggior parte delle persone viaggiava in treno, stipata in carrozze di terza classe, e non erano pochi quelli che non sapevano, a fine giornata, se sarebbero riusciti a cenare. Senza quella povertà non si capirebbe l'imminente trionfo del nuovo gioco popolare.
L'invenzione. A crearlo fu un giornalista, Massimo Della Pergola, aiutato da due colleghi, Fabio Jegher e Geo Molo. Furono loro a inventare "la schedina Sisal", concorso a premi legato al campionato di calcio che, tra mille difficoltà logistiche, si apprestava a ricominciare con la serie A divisa in due gironi, uno al Nord, l'altro al Sud. Della Pergola, triestino, otto anni prima era stato licenziato in tronco dal Popolo di Trieste perché di origine ebrea.
30 lire. Rientrato dalla Svizzera, dove si era rifugiato, dopo la Liberazione arrivò a Milano. Qui fondò, assieme a Jegher e Molo, la Sisal, una società con un capitale sociale di 300 mila lire, e s'inventò il concorso a premi (in denaro) legato al campionato di calcio: l'obiettivo era indovinare, per ciascuna delle 12 partite in schedina, se avrebbe vinto la squadra di casa (1), quella ospite (2) oppure se ci sarebbe stato un pareggio (x). Scrisse anche lo slogan per il concorso: "Tentate la fortuna al prezzo di un vermouth": 30 lire, quanto un aperitivo, era infatti la puntata minima per giocare una colonna.
Colonna vincente. La prima schedina era legata alle partite del 5 maggio 1946: nei bar ne vennero distribuite 5 milioni, quelle giocate furono 34.423 (per sbarazzarsi di quella montagna di carta avanzata, alla Sisal pensarono di distribuire le schedine inutilizzate ai barbieri, che le usarono per pulirci i rasoi).
L'incasso non arrivò a 2 milioni di lire e il montepremi non fu di quelli che cambiano la vita: 463.146 lire (circa 13 mila euro di oggi) che andarono tutti a Emilio Biasetti, impiegato di Milano, l'unico che indovinò la colonna vincente.
Cresce il montepremi. La febbre del gioco aveva però una sua forza autonoma: così, di domenica in domenica, il montepremi crebbe. I primi milionari arrivarono già all'ottavo concorso: un disoccupato di Genova e una casalinga di Bologna intascarono 1.696.000 lire a testa (circa 50 mila euro). Ma il primo che vide la sua vita rivoluzionata fu Pietro Aleotti, da Treviso, che nella primavera del 1947 vinse 64 milioni (oltre un milione di euro): non si accorse nemmeno di aver fatto 12, però aveva messo il suo nome nella casella dietro la schedina, dove, nel lo spazio professione, aveva anche specificato "artigiano del legno": costruiva bare.
L'ascesa. In due stagioni la Sisal triplicò gli incassi, conquistò l'attenzione degli italiani e anche quella dello Stato. All'inizio, prima di andare dal notaio e creare la sua società, Della Pergola aveva cercato di vendere la sua idea al Coni che, però, non aveva creduto che quella semplice colonna a quadretti dove scrivere 1-x-2 potesse produrre soldi da investire nella ricostruzione degli impianti sportivi bombardati.
Quando poi le schedine della Sisal divennero famose quanto il gioco del Lotto le cose cambiarono. Nei bar la domenica non si parlava d'altro e, soprattutto, il montepremi iniziò a far gola al fisco: così, con un decreto, nel 1948 il presidente Luigi Einaudi nazionalizzò la schedina, che da quel momento crebbe di un pronostico (per vincere bisognava adesso fare 13) e si chiamò semplicemente Totocalcio.
Introiti. Il Coni da allora incassa un quarto delle giocate, un quarto lo prende l'erario e il resto va ai vincitori. Per pagare la trasferta olimpica di Londra, inoltre, il costo della colonna salì a 50 lire (circa 85 centesimi di oggi). La prima schedina "statale" fu del 19 settembre 1948. Dalla stagione 1951-52 fu introdotta la doppia colonna che portava la giocata minima a 100 lire; sempre lo stesso anno un provvedimento legislativo contribuì alla maggiore diffusione del gioco: la legge sull'Imposta unica (22 dicembre 1951, n. 1379) stabilì che i premi vinti fossero al netto delle ritenute.
Causa allo stato. E Della Pergola? Protestò, chiese un indennizzo e intentò causa allo Stato, al ministero dello Sport, al Coni… Avvocati, carte bollate, udienze, giudici, avanti e indietro per anni dalle aule dei tribunali non portarono a niente.
E così, nel 1954, si convinse che vincere una causa contro lo Stato era un'impresa improba e, dopo aver gestito, sempre attraverso la Sisal, il Totip (concorso-pronostico sulle corse dei cavalli, sempre con la formula 1-x-2) nel 1954 tornò a tempo pieno al giornalismo, assunto dalla Gazzetta dello Sport allora diretta da Bruno Roghi, con la qualifica di caporedattore responsabile del calcio.
Fenomeno di massa. Negli Anni '50 i milionari della domenica divennero un fenomeno di costume, tanto che se ne occuparono i rotocalchi: vennero realizzati servizi su persone comuni che, grazie alla schedina, conquistarono la fama. Tra queste c'era Giovanni Mannu, minatore sardo, che realizzò un tredici da 77 milioni e fu ripreso mentre entrava nel palazzo degli uffici del Totocalcio di Roma con le braccia al cielo come se stesse tagliando un traguardo. Diventò famoso anche il ferroviere Giovanni Cappello che, davanti alla cinepresa, fece frusciare i pacchi di banconote da 10.000 lire formato "lenzuolo". Guadagnò una copertina anche la signora Giovanna Taro, prima donna "milionaria" che, per aver previsto la sconfitta dell'Inter a Catania (contro il parere di figlio e marito) incassò i 60 milioni dell'unico tredici di quella domenica.
I sogni da realizzare? Erano uguali per tutti: una nuova cucina, l'automobile, la licenza del negozio e l'aiutino ai parenti. La beneficenza non era ancora di moda. A superare il tetto della vincita a nove cifre fu una coppia di amici, Luigi Piacenza e Renzo Pinferri di Prato, che il 25 ottobre 1953 incassarono 104 milioni. Anche loro, come Mannu, Cappello e la signora Taro, furono travolti dall'improvvisa ricchezza e soffocati dall'abbraccio di amici e parenti. Un affetto subitaneo e non sempre sincero: per questo motivo, oltre che per sfuggire agli esattori delle tasse, i vincitori cominciarono a diventare anonimi e aggirarono l'obbligo di pagamento nominale della vincita affidandone la riscossione ad avvocati, notai e banche.
I miliardari della domenica. Nel 1977 si superò il muro del miliardo di lire: al concorso numero 19, il 31 dicembre, l'unico tredici si portò a casa un miliardo e 185 milioni di lire. Il fortunato tredicista, però, finì male: lasciò il lavoro da impiegato e s'inventò imprenditore. Fallì pochi anni dopo travolto dai debiti e, abbandonato dalla moglie, morì investito da un treno.
L'italia del Consumismo. La schedina, comunque, era ormai diventata uno degli emblemi del sogno consumista. Ogni domenica tutti potevano sperare di cambiar vita; la ricchezza del montepremi crebbe di anno in anno, attirando sempre nuovi giocatori, anche chi di calcio non ne capiva nulla, uomini e donne, anziani e ragazzi.
Negli Anni '80 e '90 il Totocalcio distribuì fino a mille miliardi di lire a stagione. L'anno dei record fu il 1993: la vincita più alta fu quella del 7 novembre, concorso numero 13, quando tre schedine con un 13 e cinque 12 – giocate a Crema, Patti Marina (Messina) e in un autogrill sull'autostrada Napoli-Salerno – regalarono ai loro possessori 5.549.756.245 lire (quanto 4.233.000 euro di oggi); poche settimane più tardi si ebbe il montepremi più ricco: il 5 dicembre ai giocatori furono distribuiti la bellezza di 34.475.852.492 lire.
Verso la fine. E il declino, forse, cominciò proprio da lì, da quei superpremi. Le cause furono tante: la moltiplicazione dei concorsi (sull'onda del successo erano nati il Totogol e il Totosei), i montepremi astronomici del Superenalotto, la legalizzazione delle scommesse, i Gratta e Vinci, l'immensità del tavolo da gioco di Internet... Il 24 agosto 2003 fu la "domenica nera" del Totocalcio, il premio più basso della Storia: ai quasi 55 mila quattordici (da quell'anno si era passati da 13 a 14 pronostici) andarono 2 euro ciascuno. Certo, era una domenica molto particolare, c'era stato lo sciopero del calcio, le partite decise a tavolino. Eppure quel risultato suonò come una campana a morto. E oggi i giovani, anche quelli più patiti di calcio, sanno a malapena cosa significhi quell'espressione che ogni tanto affiora nel linguaggio degli adulti: "Ma che, hai vinto al Totocalcio?"
Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?