Alle discipline tradizionali come l’apnea statica, dinamica e profonda si sono affiancate negli ultimi decenni diverse specialità bizzarre, che ripropongono sotto il pelo dell’acqua sport solitamente praticati “all’aria”.
La svolta risale al 1978, quando la Cmas (Confederazione mondiale delle attività subacquee) ha riconosciuto l’hockey e il rugby subacquei, nati nel 1954 e 1961. Poi è stata la volta delle versioni subacquee di football americano, tiro al bersaglio e orienteering.
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Il più noto è l’hockey subacqueo, chiamato anche octopush perché in origine si affrontavano 8 giocatori per squadra e il bastone era detto pusher. Se ne sono disputati già 15 campionali mondiali.
I 12 giocatori (6 per squadra) indossano maschere, boccagli, cuffie, pinne e un guanto con cui impugnano il bastone (bianco per una squadra, nero per l’altra), lungo 35 cm. Con questo colpiscono il disco di piombo (che pesa 1,3-1,5 kg) ricoperto di plastica, cercando di spedirlo nella porta avversaria. Si commette un fallo quando il disco è colpito senza bastone o quando si usa quest’ultimo contro gli avversari.
Anche nel rugby si gioca in 12 ma con una palla di 40 cm: sono permessi i passaggi in tutte le direzioni, ma la resistenza dell’acqua impedisce lanci più lunghi di 3 metri. In questi sport, da bordo vasca non si vede nulla: per gli spettatori ci sono schermi che riproducono i filmati delle telecamere poste in piscina.
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