Il 2 giugno si celebra la Festa della Repubblica italiana perché il 2 giugno 1946 l'intera popolazione italiana, con un referendum a suffragio universale, fu chiamata a scegliere tra monarchia e repubblica. Come mai però si parlò di referendum e non di plebiscito?
Etimologia. Per rispondere, bisogna ripercorrere la storia di queste due parole. Dal punto di vista del significato, plebiscito deriva dal termine latino di epoca repubblicana plebis scitum ("decreto della plebe"), che indicava i comizi convocati dai tribuni della plebe. Referendum viene invece da ad referendum: "per riferire". Ma quello che nel 1946 fece la differenza fu come vennero usate nella Storia queste consultazioni popolari.
Democrazia diretta. Il plebiscito viene indetto da chi è al governo solo in casi eccezionali e non è regolato da leggi costituzionali. Il referendum è invece un atto di governo diretto del popolo, previsto dalla Costituzione e regolato da leggi, in risposta a una precisa domanda o proposta rivolta da organi istituzionali, di solito a partire dalla richiesta di un determinato numero di sottoscrittori. Quello del 1946, dunque, sul piano giuridico, era più simile a un plebiscito: le leggi non prevedevano infatti un referendum istituzionale (oggi in Italia vietato dalla Costituzione).
Fantasmi del passato. Il plebiscito, però, nacque con la Rivoluzione francese e servì, nell'Italia risorgimentale, a ratificare annessioni territoriali avvenute sul campo. Inoltre fu lo strumento usato per legalizzare colpi di Stato: da Napoleone fino ai plebisciti elettorali di Mussolini. Così, si preferì parlare di referendum per sottolineare che si trattava di una scelta del popolo e non di un atto formale per una decisione già presa.