Curiosità

Lo show della scienza

Con i neutrini più veloci della luce e la particella di dio lo spettacolo della scienza ha raggiunto il suo apice nel 2011 e per molti è ormai scienza-spettacolo, "marketing oriented", per collezionare consensi, fondi, prestigio. E con illustri precedenti.

10 marzo 1989, Salt Lake City (Usa): i chimici Martin Fleischmann e Stanley Pons annunciano al mondo un nuovo metodo per produrre energia senza bruciare combustibili né "rompere" gli atomi; un metodo che verrà battezzato fusione fredda o, più recentemente, reazioni nucleari a debole energia.

Al di là della validità o meno della tecnica, i due dimostrarono che c'era un modo innovativo di annunciare la scienza. Non più attraverso il lungo e laborioso processo che passa dall'invio di articoli ai giornali scientifici ma organizzando una conferenza stampa in cui i risultati sono trasmessi direttamente agli operatori della comunicazione. Fu il primo momento in cui i "produttori di scienza" saltarono la catena che controlla, critica e spesso blocca le ricerche dubbie o non riproducibili. Inizia da quel momento un dibattito che può rivoluzionare il modo di comunicare la scienza e, per certi versi, anche di farla.

Rivoluzione Internet. Fino a quel momento (e ancora oggi, nella grande maggioranza dei casi), i risultati dei laboratori sono comunicati, a volte dopo lunga meditazione da parte dei responsabili, ad alcuni giornali scientifici del settore, oppure a riviste scientifiche generaliste di grande autorevolezza, come Nature e Science.

L'articolo inizia un lungo viaggio di controlli e ricontrolli; è infatti spedito ai cosiddetti referee, che lo leggono, lo confrontano con altri lavori nel campo, ne criticano alcune parti e chiedono agli autori chiarimenti più o meno ampi. Fino al sommo disprezzo, quello di respingere l'articolo stesso e rimandarlo agli autori dichiarandolo non degno di pubblicazione. Se invece la ricerca passa l'esame dei referee, è solo dopo la sua pubblicazione sugli organi ufficiali che quotidiani e mensili sono messi a conoscenza della scoperta, degli esperimenti e delle analisi degli scienziati. È un sistema che ha funzionato esattamente in questo modo per molto tempo (la prima rivista scientifica fu Philosophical Transactions, pubblicata in Inghilterra dalla Royal Society nel 1655).

Ma già Internet aveva in parte rivoluzionato il sistema; pettegolezzi o anticipazioni che per molto tempo erano rimasti confinati nel chiuso dei laboratori si diffondevano alla velocità del lampo dall'altra parte della Terra. Anche se erano le riviste scientifiche che concedevano l'ufficialità alla scoperta e che facevano partire le notizie vere e proprie.

Fleischmann e Pons rivoluzionarono tutto questo con una sola, affrettata conferenza stampa. Da allora la comunicazione scientifica prese un'altra strada. Una strada in cui i compiti, fino a quel momento divisi, del ricercatore e del giornalista scientifico vanno sfumandosi sempre di più.

Il passo successivo fu più complesso e articolato.

Nel 2009, vent'anni dopo l'annuncio di Fleischmann e Pons, il paleontologo Jorn Hurum e i suoi collaboratori organizzarono un'intera serie di eventi, dalla conferenza stampa al libro, dal sito al documentario presentato da David Attenborough, per presentare Ida, un fossile (della specie Darwinius masillae: anche la scelta del nome è una mossa "furba", perché nel 2009 si festeggiavano i 150 dalla pubblicazione dell'Origine delle specie, di Darwin) scoperto in Germania nel 1987; secondo gli autori era uno dei più importanti "anelli mancanti" tra i lemuri e le scimmie vere e proprie.

Hurum e i suoi avevano dunque prodotto, in contemporanea alla presentazione dell'articolo originale da pubblicare sulle riviste scientifiche (uscì nel maggio 2009 su PlosONE) una serie di prodotti multimediali che davano per scontato che la scoperta fosse epocale e fondamentale. A differenza di quanto accadde per la fusione fredda, però, in generale i ricercatori non accolsero con scetticismo la notizia: in fondo, lo scoperte di paleoantropologia si susseguivano praticamente tutte le settimane, e un fossile importante era sempre possibile.

Quello che irritò la comunità scientifica fu proprio il battage pubblicitario pianificato e multilivello. Era una scienza fatta per vendere un prodotto, non per comunicare la scoperta: libri, documentari, pubblicità sul sito eccetera erano il vero scopo dell'annuncio. Che fu però, in pochi mesi, quasi del tutto smentito da ricerche apparse su riviste prestigiose: Nature, per esempio, pubblicò a ottobre 2009 - pochi mesi dopo l'annuncio - un articolo che metteva forti dubbi sull'appartenenza di Ida alla linea filetica umana.

Con questo episodio l'intero mondo della ricerca si accorse però che entrare direttamente in campo, senza aspettare il lungo tragitto che andava dagli articoli delle riviste, o dai comunicati delle università, fino alla stampa che si accorgeva della scoperta o della ricerca, poteva portare a una diffusione ben maggiore della ricerca. Ma allo stesso tempo provocava nei colleghi una reazione molto più piccata e severa, con conseguente pericolo di marginalizzazione della scoperta stessa o addirittura dei ricercatori, perché il tutto non passava attraverso il filtro dell'intera comunità scientifica di appartenenza, che controllava e criticava la scoperta e ne certificava la validità. Maneggiare direttamente la stampa, in conclusione, poteva essere vantaggioso, ma pericoloso.

BATTERI SUPERSTAR

È considerato uno degli esempi più palesi della spettacolarizzazione della scienza: il sequenziamento del genoma umano da parte di Craig Venter, un ricercatore indipendente, fu seguito da migliaia di pagine di giornale e interviste, da promesse e spiegazioni di termini arcani, persino da una conferenza stampa con il presidente Clinton e l'altro protagonista, il direttore del progetto, Francis Collins. In seguito alla comunicazione scientifica, che avvenne però con un articolo su Science, non sulla stampa generalista, Venter divenne famosissimo e iniziò a percorrere i mari del mondo alla ricerca di altri "geni" che gli permettessero di creare una forma di vita artificiale in grado di aiutare la specie umana a risolvere i suoi problemi. Cosa che proclamò di aver fatto nel maggio 2010. Un annuncio sempre accompagnato da una grande campagna stampa.

Nonostante questo, dopo l'episodio di Darwinius passò solo qualche mese prima che la situazione si ripresentasse. Questa volta, però, il mondo della ricerca era cambiato: ai normali canali la stampa (periodica e Internet "istituzionale") si erano aggiunti milioni di siti informali - blog e altro - che stavano con occhi ben aperti sul mondo della scienza. E non erano solo persone critiche dell'impresa scientifica, ma anche e soprattutto scienziati, colleghi dei ricercatori/comunicatori. Ecco spiegata la reazione a un'altra "scoperta", quella dei cosiddetti batteri all'arsenico.

Preceduta da un allusivo annuncio della Nasa, che proclamava grandi scoperte nel campo della vita extraterrestre, nel dicembre 2010 la ricercatrice della Nasa Felisa Wolfe-Simon annunciò di aver trovato, nell'inospitale ambiente del Mono Lake, in California, un batterio che era in grado di utilizzare nel DNA l'arsenico - sostanza velenosa per quasi tutte le forme di vita - invece del fosforo, presenza invece fondamentale in tutte le cellule viventi. Anche qui, la ricercatrice si affidò per il primo annuncio non solo a un articolo scientifico vero e proprio, ma a una conferenza stampa in cui, affiancata da altri studiosi prestigiosi, spiegava la scoperta.

Passarono poche ore e l'intero mondo della ricerca biochimica entrò in subbuglio. Si distinse, in questo, una scienziata canadese, Rosie Redfield. Senza peli sulla lingua, proclamò che la ricerca di Wolfe-Simon "non presentava alcuna prova che l'arsenico fosse stato incorporato nel DNA dei batteri". Ma per una frase così severa, e altre ancora più aspre, non utilizzò la stampa periodica, un'intervista radiofonica o televisiva. Ecco il salto di qualità: Rosie Redfield scrisse tutto sul suo blog, insieme ad altri ricercatori che misero in dubbio da subito la scoperta di Felisa Wolfe-Simon.

Da quel momento la discussione si spostò (o meglio, si amplificò) dalla funzione critica della stampa verso la scienza a quanto e come gli scienziati stessi dovessero scendere (finalmente, dissero alcuni) dalla torre d'avorio dei loro laboratori e manifestare apertamente il loro dissenso o il plauso verso alcune ricerche dei colleghi.



Secondo Dario Bressanini, chimico dell'università dell'Insubria e blogger di Le Scienze e Il Fatto quotidiano: «Gli scienziati li vedo più come divulgatori che come giornalisti, per "inquadrare" un tema che interessa i lettori nella giusta prospettiva scientifica rifuggendo, si spera, dal clamore del momento. In più gli "scienziati che scrivono" servono da cani da guardia dei giornalisti (scientifici e non), per verificare che gli aspetti scientifici di una notizia siano correttamente riportati».

Su questa interpretazione del ruolo di scienziato-divulgatore è d'accordo solo in parte Giuseppe Liberti, fisico e blogger per Focus.it: «Se lo scienziato ha tempo e voglia di raccontare il suo mondo e lo stesso fa il giornalista, in maniera rigorosa ma non paludata, è un bene per entrambe le categorie. Non si tratta di "sorvegliare" il lavoro degli altri ma di comprenderlo, studiarne il metodo e capire i concetti. Una discussione libera e pubblica non può che mettere in luce le qualità di chi la conduce, è anche una maniera per selezionare buoni professionisti della comunicazione».

Per Fabio Turone, presidente di Science writer in Milan (Swim), associazione di giornalisti scientifici, il modello dovrebbe essere quello di Science Media Centre, che fa da "mediatore culturale" tra il mondo della scienza e quello dei media, con soddisfazione di tutti, perché «nelle controversie "da prima pagina" gli aspetti scientifici sono fondamentali ma non bastano quasi mai, da soli, a dare un'informazione davvero completa. E d'altra parte», afferma Turone, «i giornalisti scientifici non devono dimenticare che gli scienziati - anche quando sono onesti, chiari, esaurienti e tempestivi - non sono mai del tutto neutrali, e la tentazione di manipolare l'informazione, da cui dipendono almeno in parte anche il prestigio sociale e persino l'impact factor, può essere molto forte anche per loro».

Da tutti questi episodi è quindi nato un dibattito acceso sui "doveri" delle diverse categorie di scienziati, blogger e giornalisti scientifici, sui diversi approcci alla notizia di ognuno di essi e su come controllare il flusso di notizie che provengono dai laboratori. Un mondo in evoluzione e in prepotente trasformazione, che probabilmente darà origine a nuove figure professionali e nuovi modi di "scrivere" una notizia scientifica. Potrà essere accolta bene questa figura ibrida? Migliorerà la comunicazione della scienza? Cosa ne pensano i nostri lettori?

22 gennaio 2012 Marco Ferrari
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