Quando non era impegnato a essere uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi (o a conficcarsi aghi da calza negli occhi) Isaac Newton leggeva la Bibbia, interessandosi in particolare alla sezione dedicata alle profezie. Applicando la sua visione protestante alle Sacre Scritture, il genio scopritore della forza di gravità fece una previsione sulla fine del mondo (o, per meglio dire, la fine del mondo come lo conosciamo noi oggi): secondo i suoi calcoli, mancherebbero appena 36 anni al ritorno di Cristo sulla Terra.
La profezia dei 1.260 giorni (o anni). La previsione è contenuta in un manoscritto privato, scoperto dopo la sua morte e datato 1704, che riporta una serie di calcoli complessi frutto di uno studio approfondito dell'Apocalisse biblica. In particolare Newton si sarebbe concentrato sulle profezie contenute nel Libro di Daniele, nel quale si fa riferimento a periodi di 1.260, 1.290, 1.335 e 2.300 giorni. Newton, come molti commentatori dell'epoca, credeva che i giorni si riferissero in realtà ad anni di tempo reale, sulla base del principio giorno/anno.
Il ritorno di Cristo. Il fisico considera l'800 d.C. come l'anno dell'inizio della "supremazia del Papa", e calcola che 1.260 anni sia la durata del periodo che conduce alla caduta di Babilonia e alla fine della chiesa apostata che, dunque, dovrebbe avvenire proprio nel 2060. A questo evento seguirebbe il ritorno di Cristo sulla Terra e l'avvento del regno di Dio.
È dunque vero che Newton ha previsto la fine del mondo per il 2060? Non in senso letterale. Come spiega Stephen D. Snobelen, fondatore del Newton Project, lo scienziato «vedeva il 2060 come l'inizio di una nuova era – l'era che gli Ebrei definiscono Messianica e che i cristiani premillenari chiamano Millennio o Regno di Dio», durante la quale Cristo tornerà sulla Terra per stabilire un regno globale di pace che durerà 1.000 anni.