La petizione #dilloinitaliano è stata lanciata su iniziativa di Annamaria Testa sulle pagine di Internazionale e sul sito Nuovoeutile, per esortare l'Accademia della Crusca a farsi portavoce di un «uso più accorto della lingua italiana da parte di chi ha ruoli e responsabilità pubbliche».
La parola che c'è già. Oggi più che mai i termini inglesi vengono usati indiscriminatamente, anche quando nella nostra lingua esistono parole equivalenti, anche quando non necessari. Questa tendenza non arricchisce il nostro repertorio, anzi, lo appiattisce e rende il messaggio spesso poco chiaro, soprattutto quando chi parla o scrive si rivolge a tante persone: in politica, nel giornalismo, nei media.
Dai, dillo in italiano. Perché, si chiede Testa, «dire form quando si può dire modulo, jobs act quando si può dire legge sul lavoro, market share quando si può dire quota di mercato? Perché dire fashion invece di moda, e show invece di spettacolo?» e prosegue: «non per obbligo ma per consapevolezza. Parlando italiano potremmo tutti cominciare a interrogarci sulle parole che usiamo. A maggior ragione potrebbe farlo chi ha ruoli pubblici e responsabilità più grandi».
Da consultare. Intanto su NeU è stata pubblicata una lista di 300 parole inglesi, molto usate, tradotte in italiano. Uno strumento utilissimo se anche voi, ogni tanto, siete vittime della sindrome da itanglese.
Di seguito trovate il testo della petizione, rivolta ai membri dell'Accademia della Crusca. Focus sostiene l'iniziativa e, se siete d'accordo, vi invita a firmare qui.
Membri del Consiglio Direttivo Aldo Menichetti, Massimo Fanfani, Vittorio Coletti, Luca Serianni; Presidente Accademia della Crusca Claudio Marazzini; Presidenti Onorari Accademia della Crusca Nicoletta Maraschio e Francesco Sabatini
Chiediamo che, forte del nostro sostegno, l’Accademia della Crusca inviti formalmente il Governo e le Pubbliche Amministrazioni, gli esponenti dei media, le associazioni imprenditoriali a impegnarsi per promuovere l’uso dei termini italiani in ogni occasione in cui farlo sia sensato, semplice e naturale.
Infarcire discorsi politici e comunicazioni amministrative, resoconti giornalistici o messaggi aziendali di termini inglesi che hanno adeguati corrispondenti italiani rende i testi meno chiari e trasparenti, meno comprensibili, meno efficaci. Farsi capire è un fatto di civiltà e di democrazia.
Ma non solo: la lingua italiana è amata. È la quarta studiata nel mondo. È un potente strumento di promozione nel nostro paese ed è un grande patrimonio. Sta alle radici della nostra cultura. È l’espressione del nostro stile di pensiero. Ed è bellissima.
Privilegiare l’italiano non significa escludere i contributi di parole e pensiero che altre lingue possono portare. Non significa chiudersi ma, anzi, aprirsi al mondo manifestando la propria identità. Significa, infine, favorire un autentico bilinguismo: competenza che chiede un uso appropriato e consapevole delle parole, a qualsiasi lingua appartengano.
Chiediamo inoltre che, come avviene in Francia, in Spagna, in Germania e nei paesi anglosassoni, l’Accademia della Crusca attivi, anche in rete e insieme ad altre istituzioni, iniziative e servizi utili a promuovere e a diffondere qui da noi l’impiego consapevole delle parole italiane, e chiediamo che vengano conferite le risorse per poterlo fare.