Il 4 febbraio inizia la settantesima edizione del Festival di Sanremo. L'evento televisivo italiano per eccellenza affonda le sue radici nel Secondo Dopoguerra, da un'idea del ragioniere sanremese Amilcare Rambaldi, ex partigiano, appassionato di musica e commerciante di fiori. Rambaldi, incaricato dal Comitato di Liberazione Nazionale di rilanciare il casinò cittadino attraverso manifestazioni artistiche e culturali, nel novembre del 1945 presentò una lista di proposte che comprendeva una sfilata di moda, un torneo internazionale di bridge e una gara canora. Quest'ultima fu bocciata dalla direzione della casa da gioco, ma Rambaldi non si diede per vinto e ci riprovò due anni dopo, chiedendo ad Angelo Nizza, responsabile dell'ufficio stampa del casinò e suo amico, di intercedere per lui presso il gestore, Pier Bussetti.
Intanto, a Viareggio, nel 1948 esordiva il Festival Canoro Nazionale, replicato l'anno successivo e poi chiuso per mancanza di fondi. Con un buon successo di pubblico, però, tanto da dar ragione a Rambaldi: anche Sanremo avrebbe avuto la sua kermesse musicale. E con un'alleata importante, la Rai, che presentò l'evento così: «Una nuova iniziativa che ha come intento quello di promuovere un elevamento nel campo della musica leggera italiana, compatibilmente con i presupposti popolari».
Così, alle ore 22 del 29 gennaio 1951, per tre sere la radio trasmise la prima edizione del Festival, vinto da Nilla Pizzi (Grazie dei fiori) e un po' snobbato dagli ascolti - che invece lievitarono dal 1955, quando l'evento andò in onda in tv.
Alti papaveri e piccole papere. «Signori e signore, benvenuti al Casinò di Sanremo per un'eccezionale serata della canzone organizzata dalla Rai. Premieremo tra le 240 composizioni inviate da altrettanti autori la più bella canzone dell'anno.» Così il 48enne palermitano Nunzio Filogamo, torinese d'adozione e con un passato da avvocato, inaugurò la prima edizione del Festival. Dopo di lui si sono avvicendati 48 altri presentatori (e presentatrici), affiancati nelle varie edizioni da 115 spalle, tra guest star d'eccezione (per esempio Luciano Pavarotti, Roberto Benigni e il premio Nobel per la Medicina Renato Dulbecco), co-conduttori (Maria De Filippi, Antonella Clerici, Piero Chiambretti...) e vallette (come la supermodella Eva Herzigova).
A condurre più edizioni è stato Pippo Baudo, al timone per 13 volte: la prima nel 1968, l'ultima (finora) nel 2008. Dietro di lui, in questa speciale classifica, Mike Bongiorno con undici presenze e Filogamo con cinque: tutti "alti papaveri", capaci di caratterizzare lo spettacolo con carisma e professionalità.
Come le sole quattro presentatrici che hanno gestito in autonomia la kermesse: Loretta Goggi (1986), Raffaella Carrà (2001), Simona Ventura (2004) e Antonella Clerici (2010).
Per fare il verso a un'altra celebre canzone di Nilla Pizzi, Papaveri e papere, c'è da dire che conduttori, conduttrici e spalle, negli anni, si sono resi protagonisti anche di "papere". Troppo numerose quelle dell'attrice Marisa Allasio, che perciò fu esclusa dal palco dalla serata finale, nel '57, e imbarazzanti quelle del quartetto di "figli d'arte" del 1989: Marco Tognazzi, Danny Quinn, Rosita Celentano e Paola Dominguin, maestri nello scordare ciò che andava annunciato e spesso in difficoltà a trovare l'indicazione giusta sulla scaletta.
Per assistere alla prima edizione del Festival, nel 1951, il pubblico presente in sala pagò un biglietto di 500 lire: oggi i biglietti per le singole serate costano da 180 a 660 euro, e fino a 1.300 euro gli abbonamenti
Vincitori e vinti. Tolto il caso di Nilla Pizzi, che nel '52 si piazzò prima, seconda e terza con Vola colomba, Papaveri e papere e Una donna prega, il record di vittorie lo detengono Domenico Modugno e Claudio Villa, con quattro successi a testa, e nel 1962 anche in coppia con Addio... addio. Un solo trionfo invece per altre star della musica italiana, come Adriano Celentano (Chi non lavora non fa l'amore, nel 1970, con la moglie Claudia Mori), Gianni Morandi (1987, Si può dare di più, con Enrico Ruggeri e Umberto Tozzi), Riccardo Cocciante (1991, Se stiamo insieme) ed Elisa (2001, Luce. Tramonti a nord est). Al primo posto pure outsider come la studentessa Franca Raimondi nel 1956 (Aprite le finestre), in un'edizione senza big per volere delle case discografiche in sciopero, e il duo dei Jalisse nel 1997 (Fiumi di parole), presto dimenticato. La vittoria più sospirata fu probabilmente quella di Betty Curtis e Luciano Tajoli (Al di là) nel 1961, costretti ad aspettare nove giorni affinché venissero conteggiati i tre milioni di voti, da quell'anno abbinati all'Enalotto.
Nel 1958 Domenico Modugno presentò Nel blu dipinto di blu, poi ribattezzata Volare: la eseguì con le braccia allargate, ponendo fine all'era dei cantanti "ingessati"; ancora più irriverente fu, tre anni dopo, Adriano Celentano cantando 24 mila baci dando le spalle al pubblico
Non hanno invece mai vinto grandissimi come Lucio Battisti e Mina, a fronte di, rispettivamente, una e due partecipazioni. Mina, in particolare, dette addio alla manifestazione proprio nel '61, dopo aver fallito l'acuto di Io amo tu ami ed essere scoppiata a piangere sul palco. Un Sanremo lo hanno invece conquistato Al Bano (1984, Ci sarà, con Romina) e il sei volte secondo Toto Cutugno (1980, Solo noi), ma è troppo poco considerando che i due detengono il record di presenze tra i cantanti, ben 15, a pari merito con Peppino Di Capri (due successi) e Milva, mai prima. Eppure, come interpreti, i più grandi sconfitti della storia del Festival sono forse Lucio Dalla, Zucchero e Vasco Rossi.
Il primo ha partecipato cinque volte, non vincendo mai; Zucchero si è classificato sempre penultimo nelle sue quattro partecipazioni, mentre Vasco ha fatto perfino peggio, piazzando Vado al massimo in fondo alla classifica nel 1982 e Vita spericolata appena un posto sopra nell'83.
La più giovane vincitrice del Festival è stata Gigliola Cinquetti, nel 1964, con Non ho l'età (per amarti), mentre la parola "sesso" viene pronunciata per la prima volta al Festival nel 1978, da Rino Gaetano, nella canzone Gianna
Non si dice e non si fa. Pure la censura ha avuto un ruolo importante a Sanremo. La prima volta entrò in azione nel 1959 per la sussurrata Tua di Jula de Palma, giudicata scandalosa da Vaticano e Rai e perciò vietata alla radio. La tv di Stato nel 1962 bloccò poi l'esibizione di Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, già interdetti due anni prima per uno sketch sul Presidente Gronchi. Nel 1971 a Lucio Dalla toccò cambiare il titolo della sua Gesubambino in 4 marzo 1943 (data di nascita del cantante) e il verso "E anche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù Bambino" in "E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino". Stessa sorte per Nicola Di Bari nell'edizione successiva: la protagonista della sua I giorni dell'arcobaleno (poi vincitrice) dovette passare da 13 a 16 anni perché nel testo "aveva già avuto un amante". Infine, nel 1979, per le forbici dei censori "le foglie di cocaina" cantate da Franco Fanigliulo (A me mi piace vivere alla grande) divennero "bagni di candeggina".
La francese Cannelle è stata la prima valletta di colore a salire sul palco di Sanremo, nel 1994; dopo di lei soltanto l'ex Miss Italia Denny Mendez, nel 1996
E quando poi la censura era meno intransigente, era la Chiesa a giudicare canzoni ed esibizioni. Ad esempio, nel 1980 denunciò per oltraggio l'ospite, Roberto Benigni, che aveva definito "woytilaccio" papa Giovanni Paolo II, mentre difese Povia nel 2009 per il discusso Luca era gay, brano attaccato dalle associazioni LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) perché, a loro parere, descriveva l'omosessualità come un disturbo da cui guarire. A censurare Maurizio Crozza e la sua satira contro il premier, Silvio Berlusconi, nel 2013, ci pensò invece direttamente il pubblico in sala, al grido di "niente politica a Sanremo!". L'anno prima, al contrario, nessuno censurò la valletta Belen Rodriguez per la celeberrima "farfallina" tatuata all'altezza dell'inguine e sapientemente scoperta dallo spacco della gonna.
La più giovane partecipante è stata la dodicenne Alina Deidda, nel 2003: record imbattibile perché, in seguito alle polemiche, il regolamento del Festival fu modificato fissando a 14 anni l'età minima per l'iscrizione
Non solo canzonette. Censura o no, negli anni la cronaca ha comunque fatto capolino tra una canzone e l'altra, a volte in modo drammatico. È il caso di Luigi Tenco, suicida nel 1967 nella sua camera di albergo, a quanto pare per protesta contro l'esclusione dalla finale della sua Ciao amore ciao (ma non mancano versioni alternative).
E di nuovo nel 1969, quando Anna Identici tentò il suicidio a pochi giorni dall'inizio della competizione.
Tra una canzone e l'altra si sono infilati anche i problemi sociali tipici del periodo, come nel 1984, quando Pippo Baudo ospitò una rappresentanza degli operai cassintegrati dell'Italsider di Genova. Baudo si spese magistralmente anche nel 1995, quando ricondusse alla ragione in diretta tv il 39enne Pino Pagano, che minacciava di buttarsi dalla balconata del teatro perché disoccupato.
Nella gara degli ascolti, Sanremo è stato battuto da altre trasmissioni tv soltanto due volte: nel 2004 dal Grande Fratello e nel 2008 da I Cesaroni, entrambe trasmesse da Canale 5
Sul fronte musicale, nel 1994 fu di grande impatto emotivo Signor tenente, di Giorgio Faletti, arrivato secondo ricordando l'assassinio dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nel 2003, invece, Andrea Mirò ed Enrico Ruggeri si piazzarono quarti contestando la pena di morte con Nessuno tocchi Caino. Anche la Storia con la "s" maiuscola ha partecipato al Festival. Per esempio con Vola colomba, vincitrice nel 1952 con diversi riferimenti all'irredentismo di Trieste, contesa da Jugoslavia e Italia; l'anno successivo Tamburino del reggimento, cantata da Gino Latilla, fu invece accusata di aver plagiato La sagra di Giarabub, motivo in voga nell'Italia fascista, e di essere quindi "nostalgica". Nell'edizione del '67 i Giganti cantarono Mettete i fiori nei vostri cannoni anticipando i venti pacifisti del Sessantotto, mentre cinquant'anni dopo gli outsider Ermal Meta e Fabrizio Moro vinsero con il brano Non mi avete fatto niente, che raccontava gli attentati terroristici del Cairo, di Nizza, Londra, Parigi, Barcellona e Manchester.