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È vero che stiamo diventando tutti più stupidi?

È una semplice impressione quella che ci vuole più stupidi dei nostri antenati o una disarmante verità dell'evoluzione?

La teoria è tanto semplice quanto disarmante: nella società odierna, per sopravvivere non abbiamo più bisogno dell'intelligenza - che perciò si sta estinguendo. Ad affermarlo è uno studio relativo al corredo genetico umano condotto alla Stanford University e pubblicato sulla rivista scientifica Trends in Genetics.

Attenzione
Questo articolo è stato pubblicato la prima volta il 14 dicembre 2014: le informazioni riportate erano corrette quando lo abbiamo messo online, ma non date per scontato che lo siano oggi.

Gerald Crabtree, che ha condotto lo studio sulle modifiche avvenute, in centinaia di migliaia di anni, al patrimonio genetico e alle capacità intellettive del genere umano, è giunto alla conclusione che la stupidità, sul piano evolutivo, è il nostro inevitabile destino. I nostri giorni migliori sono finiti: eravamo più vispi e attenti quando vivevamo di caccia nel Paleolitico e la natura ci esigeva sempre all'erta.

Idiocrazia. Ci staremmo dunque avvicinando a quanto comicamente profetizzato dal film Idiocracy (2006): una società basata sulla stupidità, in cui i geni migliori scompaiono dal DNA e dalla società, per lasciare spazio a quelli più "comuni". Il progresso scientifico e tecnologico continuerà, ma a ritmi inferiori rispetto a quelli che avremmo potuto sostenere se fossimo ancora dotati dei geni dei nostri antenati.

Il punto più alto dell'intelligenza umana non si sarebbe però raggiunto nel Paleolitico. Secondo Crabtree, che ha ricostruito le possibili mutazioni del nostro corredo genetico attraverso varie epoche, l'impoverimento delle capacità intellettive sarebbe iniziato appena 3.000 anni fa: abbiamo raggiunto il top all'epoca della Grecia classica, per poi prendere una lenta ma inesorabile china discendente.

 

Ateniesi. «Sono pronto a scommettere», ha scritto lo studioso, «che se un cittadino medio di Atene del 1000 avanti Cristo comparisse tra noi, verrebbe considerato la mente più brillante e vivace tra i nostri amici e colleghi. Saremmo sorpresi dalla sua memoria, dalla portata delle sue idee, dalla sua visione chiara su tutte le questioni importanti. Sarebbe anche, probabilmente, la persona più equilibrata tra i nostri conoscenti. La stessa cosa potrei dirla per qualsiasi abitante dell'Africa, dell'Asia, dell'India o dell'America di quella stessa epoca.»

Intelletto fragile. Non si tratta di una questione storica o culturale. Per Crabtree il progressivo rimbambimento che, a conti fatti, ci accompagnerebbe da ben 120 generazioni, riguarda l'intera specie umana: basta che la selezione naturale diventi meno severa, ed ecco che la qualità del nostro cervello peggiora. E non solo: la nostra fragilità mentale dipenderebbe anche dal fatto che, rispetto a 3.000 anni fa, il nostro cervello deve immagazzinare molte più conoscenze - oggi come minimo dobbiamo saper leggere, scrivere, usare il computer, guidare una macchina, destreggiarci tra i mezzi pubblici di una città.

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Questo coinvolge l'attività di un numero di neuroni molto più alto di quanto non richiedessero le occupazioni umane di qualche millennio fa: ognuna di queste funzioni coinvolge numerosi geni regolatori e ci espone a un rischio esponenzialmente maggiore di mutazioni genetiche, ognuna delle quali può rendere più debole il nostro intelletto.

Dobbiamo preoccuparci? Considerato che "contro" l'evoluzione non si può fare molto, forse no. E, in ogni caso, molti studiosi non sono d'accordo con le conclusioni di Crabtree, anche perché lo stesso genetista non fornisce dati certi che attestino l'effettiva maggiore stupidità dell'uomo contemporaneo. Forse ciò che si legge e vede su giornali e tv potrebbe bastare, ma la scienza ha bisogno di prove inoppugnabili...

30 agosto 2020 Focus.it
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