Il 20 luglio 1944, alle 12:42, una bomba esplose nel Wolfsschanze (la Tana del lupo), il quartier generale del Führer, in Polonia (per i tedeschi Prussia Orientale). Il piano per uccidere Hitler era stato organizzato da un gruppo di congiurati provenienti dall'aristocrazia tedesca e dai vertici della Wehrmacht. L'attentato consisteva nel posizionare una valigetta con due panetti da un chilogrammo di esplosivo al plastico, dotati di un innesco a tempo, nella sala conferenze, all'interno del bunker di cemento dove si tenevano le riunioni, ma Hitler si salvò e il colpo di Stato fallì.
Gli storici si sono chiesti che cosa sarebbe successo se l'Operazione Valchiria, l'ultimo e il più clamoroso attentato contro Hitler, messo in atto quando ormai il destino della Seconda guerra mondiale era già segnato (gli Alleati erano già sbarcati in Normandia e i russi avanzavano da Est), fosse stato un successo.
Due ipotesi. Uno scenario considerato realistico è quello di un'ascesa al potere di Hermann Goering o di Heinrich Himmler, i quali avrebbero fatto catturare e giustiziare i cospiratori e non si sarebbero fatti scrupolo nel continuare la guerra su tutti i fronti.
Meno credibile – a causa del diffuso patriottismo tedesco – è invece l'ipotesi secondo la quale la fine di Hitler avrebbe dato slancio al movimento di resistenza interna portando il Paese alla guerra civile.
Niente democrazia. Alcuni dei principali studiosi del nazismo – tra cui Hans Mommsen e Wolfgang Benz – concordano su un punto: anche se l'assassinio di Hitler e il successivo colpo di Stato fossero andati a buon fine, la Germania non sarebbe tornata immediatamente alla democrazia.
Occasione mancata. Quanto alle conseguenze sulle sorti della Seconda guerra mondiale, un ipotetico governo tedesco guidato dal tenente colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, che portò a termine l'operazione, avrebbe con ogni probabilità deciso il ritiro immediato delle truppe del Reich dalla Francia occupata e avrebbe tentato di negoziare una pace separata con gli Alleati.
Ma è improbabile che Washington e Londra avrebbero accettato. Alla Conferenza di Casablanca del gennaio 1943 il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) aveva infatti già pronunciato il suo discorso sulla resa incondizionata di Berlino, Roma e Tokyo.