Il loro numero varia da
una cultura all'altra,
basti pensare che gli
eschimesi hanno 7 parole per
indicare il bianco. Ma, sfumature
a parte, gli antropologi
americani Brent Berlin e
Paul Kay hanno riscontrato
che si va da un minimo di
2 termini (bianco e nero, o
chiaro e scuro, come in Nuova
Guinea) a un massimo di
11, che compaiono nell'evoluzione
linguistica di ogni
società nello stesso ordine:
bianco, nero, rosso, verde,
giallo, blu, marrone, arancio,
viola, rosa e grigio.
Così
al bianco e al nero segue la
comparsa di un termine per
indicare il rosso, poi il verde
ecc.: significa che se una
cultura ha la parola che si riferisce
al verde, ce l'ha anche
per il rosso, se ce l'ha per il
blu l'avrà già per il rosso, il
verde e il giallo ma non per
il marrone e così via.
Ordine universale
Ma come
avviene questo processo universale?
Per capirlo c'è uno
studio di Vittorio Loreto, fisico
dell'Università La Sapienza
di Roma: si sono usate
simulazioni al pc basate sulla
comunicazione fra soggetti
virtuali. Alcuni dovevano
indicare ad altri uno dei due
elementi di una serie di coppie
di oggetti di colori diversi,
inventando un nome per
il suo colore. Chi ascoltava
doveva capire a quale colore
il nome si riferisse e usarlo a
sua volta per comunicare con
altri.
Dopo migliaia di interazioni
e tentativi di comprensione
ogni colore aveva il
proprio nome: i soggetti sono
arrivati ad attribuirvi tutti lo
stesso termine. Si mettevano
d'accordo più in fretta sui
colori che compaiono prima
nell'evoluzione linguistica
delle culture. Quelli su cui è
più semplice capirsi e il cui
nome è condiviso più rapidamente
sono quelli le cui
sfumature sono più difficili
da discriminare: si fa più fatica
a distinguere fra due tipi di
rosso che fra due tipi di verde.
Come sono stati dati i nomi ai colori?
