L’attitudine alle scuse sociali ha (anche) un'origine linguistica. Gli anglofoni in generale sono i più inclini a dire “Sorry”, che peraltro deriva dall’antico “Sarig”, cioè “pieno di colpa e dispiacere”.
La parola ha in sé sfumature di dolore e contrizione che in altre lingue non ci sono proprio. Per esempio in italiano la parola “scusa” è collegata al latino ex-cusare, ovvero “allontanare da sé la cagione di qualcosa”: come dire, «Io non c’entro!».
Scuse eccessive. In effetti, per ragioni culturali e anche linguistiche, sono proprio gli anglosassoni e gli anglofoni a scusarsi di più. A cominciare dai canadesi, spiega Michael Hiscock, giornalista di Toronto. «In nessun altro Paese del mondo troverete persone in grado di scusarsi dopo essere state tamponate. Noi canadesi chiediamo “scusa” a chi ci fa cadere di mano un oggetto, a chi occupa con il suo zaino il nostro posto in treno, alla squadra rivale che abbiamo sconfitto in partita...».
I canadesi sono così pronti al dirsi dispiaciuti che in Ontario, dal 2009, è in vigore il cosiddetto Apology act: una legge che ricorda ai giudici che il chiedere scusa per un reato commesso non significa automaticamente passare dalla parte della ragione.
Scuse orientali. Secondo Kate Fox, antropologa sociale dell’Università di Oxford «oltre agli anglofoni tra i maggiori produttori di scuse ci sono i giapponesi».
Per loro conoscere le appropriate scuse sociali è di importanza capitale e, a seconda delle circostanze, hanno molti modi e parole diversi per farlo.
Anche i cinesi si scusano, ma meno; in più, come nota Renata Pisu, esperta di cultura cinese, scrittrice e traduttrice, «per loro la scusa è un atto dovuto e senza drammatiche conseguenze, una ritualità da compiere, in cui è del tutto assente il valore del perdono, che per questo non si chiede e, di conseguenza, non viene concesso».
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