C'è chi le usa poco, chi troppo, chi a sproposito, chi con le persone sbagliate. Eppure, gli emoticon (dall'inglese emotional e icon: icona che esprime emozioni), dette anche faccine (o smiley) possono essere molto utili, soprattutto nelle chat più informali: l'intonazione della voce non c'è, e sappiamo bene quanto il tono significhi in una conversazione.
Vengono da lontano. Le prime faccine stilizzate ottenute combinando segni di punteggiatura (parentesi, punti e virgole, punti eccetera) che tanto usiamo in e-mail e con lo smartphone per esprimere i nostri stati d'animo debuttarono sulla rivista satirica statunitense Puck nel lontano 1881. Parentesi e punteggiatura parlanti vi erano presentati come esempi di arte tipografica.
Per gioco. La versione elettronica è più recente, ovvio. Secondo alcuni, il primo in assoluto a usare l'emoticon fu un certo Kevin MacKenzie il 12 aprile 1979: in una comunicazione inviata in un bollettino elettronico, propose di introdurre alcuni elementi che rappresentassero l'umore di chi scriveva, per alleggerire il contenuto tecnico dei messaggi. Un trattino preceduto da una parentesi chiusa rappresentava per esempio una linguaccia: )–.
fai sul serio o no? Fino al 1982, però, non ci fu una vera diffusione degli emoticon. Fu allora, infatti, che l'americano Scott Fahlman, un ricercatore informatico della Carnegie Mellon University (Pittsburgh, Usa), mise a punto per i suoi messaggi un codice espressivo per evitare che i suoi commenti umoristici venissero fraintesi. Fahlman propose di utilizzare due semplici simboli: :-) per dire "sto scherzando" e :-( per sottolineare che l'affermazione era seria.
Che a Fahlman spetti la paternità degli emoticon (o anche le emoticon, al femminile) risultò nel 2002, quando Mike Jones, della Microsoft, pubblicò la sua ricerca (durata sei mesi) di "archeologia dei computer" tra i milioni di messaggi che furono scambiati in vari bulletin board (bacheche elettroniche).