Per dimostrare la correttezza della sua teoria Alfred Wegener pagò con la vita, scopriamo perché nell'articolo "Un geologo alla deriva" di Elena Canadelli tratto dagli archivi di Focus Storia.
Eredità scientifica. A inizio Novecento ormai la Terra era stata quasi tutta esplorata. Rimanevano esclusi solo i ghiacci delle regioni polari, una delle ultime frontiere ad attirare pionieri e avventurieri. Il norvegese Roald Amundsen e il britannico Robert Falcon Scott si contendevano la conquista del Polo Sud, mentre il Polo Nord era nel mirino del norvegese Fridtjof Nansen e del Duca degli Abruzzi, Luigi Amedeo di Savoia. Meno nota, ma altrettanto avventurosa, è l'epopea di Alfred Wegener (1880-1930): scienziato tedesco, pioniere della meteorologia, protagonista di una accesa disputa sull'origine dei continenti. Visse i suoi cinquant'anni pericolosamente, animato da spirito di avventura e desiderio di conoscenza, scegliendo l'inospitale Groenlandia come laboratorio. Qui costruì la sua stazione di osservazione meteorologica e sempre qui, durante l'ultima spedizione, trovò la morte. Oggi dimenticato, ha lasciato un'importante eredità scientifica.
Sui banchi di scuola. Ultimo di cinque fratelli, nacque a Berlino il giorno di Ognissanti del 1880. Il padre era un pastore protestante, a capo di un orfanotrofio. Dopo un'infanzia trascorsa tra il grande dormitorio, la chiesa e i banchi di scuola, decise che la sua strada sarebbe stata la scienza. Iniziò così i suoi studi in città, sotto la guida di grandi maestri, dal fisico Max Planck al chimico Emil Fischer. Ciliegina sulla torta, un dottorato in astronomia (1904). Ma Alfred non sarebbe diventato un astronomo. A quel mestiere preferì quello di meteorologo, esperto di glaciologia e geofisica.
Pioniere. Appena laureato lavorò come assistente all'Osservatorio aeronautico di Lindenberg, in Germania, dove si conducevano pionieristici esperimenti per lo studio della fisica dell'atmosfera con aquiloni e palloni aerostatici. Compagno delle sue prime esplorazioni fu il fratello Kurt. Insieme finirono sulle prime pagine dei giornali per aver stabilito il record di permanenza in volo su un pallone aerostatico: rimasero in aria per oltre due giorni (52 ore ininterrotte), dal 5 al 7 aprile 1906. Non pago, pochi mesi dopo partecipò alla spedizione organizzata dal danese Ludvig Mylius-Erichsen. Meta, la Groenlandia.
In groenlandia. Imbarcatosi sul vascello Danmark come meteorologo, vi trascorse due inverni polari (1906-1908). Scopo della spedizione era mappare la costa meno nota dell'isola, nella parte nordorientale. Wegener usò per primo i palloni meteorologici durante una spedizione polare. Dall'impresa non fecero ritorno in tre, tra cui il capo della spedizione.
Nonostante le difficoltà e le sofferenze, nell'arco di una ventina d'anni Wegener sarebbe tornato altre tre volte sull'isola che il vichingo Erik il Rosso, alla fine del X secolo, aveva battezzato "Terra verde", Groenlandia (questo perché, oltre mille anni fa, il clima era meno rigido a quella latitudine).
Trombe d'aria e crateri. Al suo ritorno, Wegener iniziò a insegnare all'Università di Marburgo. Spiegò come si formano alcuni tipi di nubi e studiò la meccanica delle trombe d'aria. E, forse rispolverando i suoi studi di astronomia, entrò nel dibattito sull'origine dei crateri lunari, che per molti erano di origine vulcanica. Con i suoi esperimenti portò conferme a favore della teoria secondo cui i crateri erano provocati dall'impatto con i meteoriti; una convinzione in seguito confermata dalle missioni spaziali. Ma c'era un'altra teoria sulla quale la storia della scienza gli avrebbe dato ragione. E per dimostrarla avrebbe lasciato la comoda vita del docente, la moglie e le tre figlie.
Osteggiato. In quegli anni Wegener stava mettendo a punto la teoria della deriva dei continenti: una volta accettata, negli Anni '60, avrebbe rivoluzionato il modo di concepire la storia geologica del pianeta. Il 6 gennaio 1912, quando Wegener la presentò in una conferenza a Francoforte, di fronte al gotha dei geologi tedeschi, la levata di scudi fu immediata: le sue idee furono rifiutate dal mondo accademico. Per niente abbattuto, Alfred organizzò una nuova spedizione in Groenlandia. Si fece accompagnare da altri tre colleghi, cani da slitta e cavalli di piccola taglia per il trasporto di viveri e strumenti.
Nuova avventura. Partiti nell'estate 1912, dopo una sosta in Islanda, raggiunsero la costa orientale dell'isola e ci rimasero un anno. Con i compagni, Wegener attraversò il deserto bianco da est a ovest, nel suo punto più largo. Percorrendo 1.000 km a piedi fu protagonista della più lunga traversata della calotta polare effettuata fino ad allora. Un successo messo in ombra dallo scoppio della Prima guerra mondiale.
Deserto bianco. Arruolato come ufficiale, Wegener fu ferito due volte e trasferito al servizio meteorologico dell'esercito tedesco in Bulgaria e in Estonia. Con la fine della guerra prese la direzione della sezione meteorologica dell'Osservatorio marittimo di Amburgo e nel 1924 si trasferì all'università austriaca di Graz. Ma il richiamo della Groenlandia era ancora troppo forte. Dopo un sopralluogo nel 1929, vi ritornò l'anno successivo, per l'ultima spedizione. Questi i suoi obiettivi: raccogliere campioni di neve, esaminare il terreno sotto il ghiaccio, registrare le variazioni di clima e le precipitazioni nevose nel corso dell'anno.
Ma soprattutto misurare lo spessore della calotta glaciale, usando piccole cariche esplosive e registrando la propagazione delle onde sonore.
Base. Wegener intendeva allestire tre campi di appoggio: due sulla costa orientale e occidentale dell'isola (a 71° di latitudine) e uno, il più importante, nel cuore dell'immensa distesa di ghiaccio, a 3.000 metri di altitudine e 400 km dalla costa ovest. Convinto di agevolare le operazioni, usò delle slitte a motore, una scelta che si rivelò fatale: la potenza del motore nulla poteva di fronte alle pareti di ghiaccio dell'isola.
Percorso a ostacoli. La lunga notte artica era alle porte e i rifornimenti per Johannes Georgi e Ernst Sorge, i due scienziati che si trovavano già alla base nel cuore della Groenlandia, non erano partiti. Wegener sapeva bene che la sopravvivenza dei compagni dipendeva da quel trasferimento. Il 21 settembre lasciò il campo base occidentale insieme al connazionale Fritz Loewe e al groenlandese Rasmus Villumsen con le tradizionali slitte trainate da cani. Il viaggio durò 40 giorni, invece dei previsti 20, a causa di violente tempeste di neve e temperature che sfioravano i 50 gradi sotto zero. La compagnia raggiunse la base a fine ottobre: Loewe aveva un principio di congelamento agli arti inferiori ed era impossibile per lui rimettersi in viaggio. Il 1° novembre, dopo aver festeggiato il suo cinquantesimo compleanno, Wegener e Villumsen presero così la via del ritorno senza di lui. Fu l'ultima volta che qualcuno li vide in vita.
Fine corsa. Senza collegamento radio tra le basi, per quasi sette mesi nessuno seppe più nulla. Il corpo di Wegener fu ritrovato nel maggio del 1931, a un centinaio di chilometri dalla meta. Il suo giovane compagno aveva segnalato con degli sci la tomba di Alfred, portando con sé l'ultimo diario dell'esploratore, nella speranza di farcela. Nessuno può raccontare gli ultimi giorni di Wegener. Nemmeno lui, che descrisse le altre spedizioni con foto e resoconti. Il suo ultimo diario è sepolto sotto una spessa coltre di neve e ghiaccio, insieme al corpo, mai ritrovato, di Villumsen.