All'inizio del '700 il corsaro Alexander Selkirk passò quasi cinque anni su un'isola deserta. Ne nacque un mito, scopriamolo attraverso l'articolo "Il vero Robinson Crusoe" di Roberto Roveda, tratto dagli archivi di Focus Storia.
L'isola deserta. Arrivare alle Isole Juan Fernández, circa 700 km a ovest della costa del Cile, anche oggi non è semplice. Ci vogliono tre o quattro giorni di traversata via mare oppure si deve scendere in aereo sull'unica pista esistente nell'arcipelago, una striscia di cemento di poco più di un centinaio di metri dove ogni atterraggio è al cardiopalma.
Natura selvaggia. Giunti a destinazione ci si ritrova immersi in una natura incontaminata e selvaggia, non troppo diversa da quella che accoglieva tra il XVII e il XVIII secolo pirati e corsari inglesi che frequentavano queste isole proprio perché sperdute e fuori dalle rotte. Qui potevano riparare le navi, fare scorta di acqua e viveri e anche abbandonare al proprio destino chi si era macchiato di qualche colpa. È quello che successe nel 1704 ad Alexander Selkirk oscuro marinaio scozzese destinato alla fama per aver ispirato allo scrittore inglese Daniel Defoe il personaggio di Robinson Crusoe.
spirito ribelle. Selkirk era diventato corsaro per sfuggire alla bottega di conciatore e calzolaio del padre e si era imbarcato sulle navi inglesi che battevano i mari del Sud alla ricerca di prede. Nel 1704 si ritrovò a bordo del galeone Cinque Ports comandato dal capitano Thomas Stradling e aggregato alla spedizione del celebre corsaro ed esploratore inglese William Dampier. Dopo mesi di scorrerie non troppo fruttuose, il Cinque Ports fece scalo nella più grande delle isole dell'arcipelago Juan Fernández, Más a Tierra (letteralmente "la più vicina a terra"). Selkirk, che era di carattere litigioso e indisciplinato, cominciò a lamentarsi per le cattive condizioni della nave e a fomentare una ribellione tra l'equipaggio. Non aveva tutti i torti dato che ben presto la Cinque Ports sarebbe affondata proprio a causa del fasciame malridotto, ma su una nave corsara non erano ammesse sedizioni.
Abbandonato al suo destino. Selkirk venne giudicato secondo le regole della pirateria e abbandonato sull'isola, totalmente disabitata. Il marinaio implorò perdono ma fu inutile: gli furono lasciati pochi viveri, della polvere da sparo, un moschetto, alcuni strumenti da falegname, una Bibbia e i vestiti che portava indosso. Selkirk diventò così Robinson Crusoe.
Istinto di sopravvivenza. Aveva con sé anche del rum che consumò in fretta e poi si fece prendere dalla disperazione, come racconta la scrittrice inglese Diana Souhami nel suo libro L'isola di Selkirk (Sperling & Kupfer) basato sui resoconti del marinaio: «Per il dolore non mangiò nulla fino a quando non vi fu costretto dalla fame, e nemmeno andò a dormire se non quando non riuscì più a tenere gli occhi aperti.
Divenne magro e debole. Voleva morire e liberarsi di quel destino». Ma a un certo punto l'istinto di sopravvivenza prese il sopravvento.
Nessuna nave in vista. Selkirk si rese conto di non poter durare a lungo sulla spiaggia, ma era terrorizzato dai suoni che provenivano dall'interno dell'isola. Pensava fossero belve feroci e anche per lui – per usare le parole che Defoe mette in bocca a Robinson – "la paura del pericolo era mille volte più terrificante del pericolo presente". A bloccare Selkirk, come scrive ancora Souhami, era anche l'idea «che prima o poi una nave sarebbe arrivata, affaticata dal mare e bisognosa di un porto, ma poi si faceva prendere dallo scoramento. Su altre isole deserte aveva visto teschi umani sbiancati, duratura reliquia degli abbandonati».
Spirito di adattamento. A risvegliare lo sventurato dal suo torpore fu la natura, sotto forma di un branco di leoni marini che presero possesso della spiaggia costringendo Selkirk a inoltrarsi nell'isola. Qui il marinaio si rese conto che non tutte le speranze erano perdute: il suo "regno" non era ridottissimo, quasi 100 km quadrati di estensione, ed era ricco di acqua, ortaggi selvatici e soprattutto capre, lasciate lì chi sa quando. Trovò anche corde e oggetti metallici abbandonati nel corso del tempo e fece tesoro di tutto: aveva capito che il suo soggiorno sull'isola poteva durare a lungo, anche per sempre.
non tutto il male... Insomma, come il Robinson Crusoe del romanzo, Selkirk cominciò a pensare che "tutte le sventure vanno giudicate insieme col poco bene che recano in sé, e con i mali peggiori che le circondano" e recuperò l'antico spirito da corsaro. Si costruì un rifugio, attinse agli insegnamenti del padre conciatore per confezionarsi abiti con le pelli delle capre, trasformò pietre e metallo di recupero in utensili. Con le corna delle capre si fece delle posate. Ben presto si adattò alla vita selvatica: la barba divenne tutt'uno con i capelli e i piedi si fecero così callosi da consentirgli di correre sulle rocce senza scarpe. Finita la polvere da sparo, imparò a cacciare le capre a mani nude e a uccidere anche i leoni marini e le otarie con l'accetta. Ebbe così carne in abbondanza e anche grasso con cui fare luce durante la notte in lampade improvvisate.
Amici e nemici. I nemici più infidi sull'isola si dimostrarono i topi, ratti enormi giunti anch'essi con qualche nave e divenuti migliaia.
Rubavano il cibo a Selkirk, gli rosicchiavano i piedi nel sonno, lo tormentavano con interminabili risse notturne. Il marinaio risolse la situazione addomesticando alcuni gatti selvatici che lo proteggevano e lo facevano sentire meno solo. Proprio la solitudine era il problema maggiore che minava l'equilibrio mentale di Selkirk. In quattro anni solo due navi si erano avvicinate all'isola, ma erano spagnole e il marinaio si era nascosto per non essere catturato e giustiziato in quanto corsaro inglese.
Malinconia. Per scacciare la malinconia gli capitò di mettersi a ballare con una capra, mentre leggeva la Bibbia ad alta voce per non perdere l'abitudine a parlare. Non bastava, però, e cominciò a temere pure i suoi gatti: «Era ossessionato dal malinconico pensiero che alla sua morte non essendoci nessuno a seppellire i suoi resti o a procurare cibo ai gatti sarebbe stato divorato dai propri animali che adesso nutriva per comodità», spiega ancora Diana Souhami.
La salvezza. L'epilogo di quella storia arrivò quattro anni dopo. "31 gennaio 1709. Stamani siamo arrivati all'isola di Juan Fernández. La nostra lancia ha portato a bordo un uomo vestito di pelli di capra e di aspetto più selvatico delle capre stesse. Da quattro anni e quattro mesi viveva in quest'isola. Si chiama Alexander Selkirk": con queste parole il capitano della nave corsara inglese Duke racconta il salvataggio del marinaio scozzese, ormai allo stremo. Selkirk attirò la nave accendendo un fuoco sulla spiaggia: faceva fatica a spiegarsi dato che "non avendo più parlato aveva dimenticato la sua lingua a tal punto che riuscivano a malapena a capirlo", scrive ancora il capitano della Duke.
Pazzo di gioia. Selkirk offrì un banchetto a base di carne di capra e poi accettò di imbarcarsi sulla nave riprendendo la sua vita di corsaro come se non l'avesse mai lasciata. Tornò in Inghilterra nel 1711, rimanendo solo il tempo per dare alle stampe la sua storia e rilasciare una lunga intervista sulla sua vicenda. Poi ripartì, morendo al largo della costa occidentale africana nel 1721, senza aver conosciuto fama e ricchezza. In suo onore, però, dal 1966 l'isola in cui visse si chiama "Isola Robinson Crusoe" mentre la sperduta Más Afuera ("la più lontana"), che fa parte dell'arcipelago Juan Fernández, è stata denominata "Isola Alexander Selkirk".