Monna (un diminutivo di "madonna", da intendersi come "signora") Lisa, al secolo Lisa Gherardini (1479-1542), moglie di Francesco del Giocondo (1465-1538), un mercante di tessuti fiorentino, è universalmente nota per aver posato per il capolavoro del Rinascimento per eccellenza: La Gioconda, di Leonardo da Vinci.
A suggerire che dietro al dipinto ci sia la Gherardini fu per primo il pittore e biografo aretino Giorgio Vasari, nell' opera Le vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori (1550). Secondo la sua versione della vicenda, a commissionare l'opera fu Francesco del Giocondo, il quale volle farvi ritrarre la moglie Lisa, detta anche Gioconda con riferimento al nome del consorte. Ma è davvero di Lisa Gherardini il sorriso enigmatico immortalato dal maestro toscano? Un giallo che siamo stati ancora in grado di risolvere.
le donne del mistero. Tra le donne che figurano come possibili muse alternative alla Gherardini, si è spesso fatto il nome di Isabella d'Este, marchesa di Mantova già ritratta da Leonardo attorno al 1500, in uno schizzo a carboncino, dopo che questi era stato ospite della nobildonna, nota mecenate, ma il colore dei capelli è diverso (quelli di Isabella sarebbero stati chiari) e anche i lineamenti del volto. Secondo un'altra ipotesi il dipinto raffigurerebbe il volto Pacifica Brandani, amante di Giuliano de' Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, morta di parto nel 1511.
Incongruenze. Quello che sappiamo è che Leonardo portò con sé il dipinto in Francia, quando, nel 1517, si trasferì ad Amboise su invito del sovrano francese Francesco I, che acquistò il quadro (finito al Louvre dopo la Rivoluzione francese), invece che consegnarlo al committente, come sarebbe stato logico. Secondo alcuni storici, quindi, la tela non sarebbe stata dipinta su commissione, ma la figura rappresentata sarebbe stata la madre dell'artista Caterina Buti del Vacca o lo stesso Leonardo.
La vera musa? Secondo lo storico dell'arte Silvano Vinceti la figura dipinta da Leonardo sarebbe in realtà per metà uomo, e raffigurerebbe l'allievo prediletto Gian Giacomo Caprotti, detto Salaì, accolto nella bottega dal maestro come garzone a dieci anni e al suo fianco per i successivi 25. Capelli biondi, tratti delicati, era il modello per le raffigurazioni degli angeli e, pare, per mille disegni androgini. Cominciò così a circolare la voce che fosse l'amante o l'oggetto del desiderio di Leonardo. Quando nel 1499 Leonardo lasciò Milano il fedele tuttofare lo seguì nelle sue peregrinazioni tra Venezia, Firenze e Mantova.
Dopo il trasferimento in Francia (1517), come protetto di re Francesco I, il Maestro chiese che fosse corrisposta una pensione al "suo" Salaì, che lo raggiunse nelle vesti di servitore. Anche in punto di morte Leonardo non si dimenticò del suo protetto: gli lasciò in eredità metà della vigna di Milano, donata a Leonardo da Ludovico il Moro.
Tra gossip e arte. Il Salaì non fece nulla per zittire il gossip, alimentandolo anzi con riferimenti "in codice" nella sua opera da pittore adulto. Leonardo, affascinato dalle fattezze del ragazzo, lo ritrasse di profilo in numerosi schizzi e lo usò come modello in alcuni dipinti, tra cui l'enigmatico San Giovanni Battista (1508-1513), oggi conservato al museo del Louvre a Parigi. Nei suoi primi anni in bottega, Salaì aiutò Leonardo nella realizzazione dei suoi lavori, cercando di imparare le tecniche del maestro. Il giovane si cimentò in numerose opere, ma l'unica firmata da Caprotti giunta fino a noi è una preziosa Testa di Cristo datata 1511 ed esposta alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano.