Le proprietà ottiche di un particolare pigmento comune a molti reperti dell'antico Egitto, il cui colore è arrivato quasi inalterato fino a noi, si sono rivelate utili in applicazioni di microscopia all'infrarosso, come quelle che si conducono nei laboratori di analisi genetiche e biomedicali su uno dei modelli animali più utilizzati al mondo, la Drosophila melanogaster, gli ormai notissimi moscerini della frutta.
È un pigmento ornamentale blu, chiamato Egyptian Blue (la cui formula è CaCuSi4O10), le cui prime tracce risalgono a quasi 5.000 anni fa (2500 a.C.), che appartiene a una classe di composti chimici chiamati fluorofori (o fluorocromi): sono molecole che, esposte alla luce visibile, diventano fluorescenti. Questa proprietà è usata in microscopia, nella ricerca biomedica, come "luce di contrasto", per esempio per la marcatura degli anticorpi. Rispetto ai fluorofori più utilizzati, l'Egyptian Blue ha però una marcia in più: è sensibile anche all'infrarosso, a noi invisibile.
L'uso di questo composto come marcatore o come supporto in sfoglie di spessore nanometrico (come fosse una capsula di Petri nanometrica) può quindi rivelare processi biochimici che sfuggono alla normale microscopia, rendendoli evidenti con la fluorescenza. Lo studio (pubblicato su Nature) ha come primo firmatario Gabriele Selvaggio, del dipartimento di chimica dell'università di Göttingen (Germania).