100 Watt sparati negli occhi, il poliziotto buono e quello cattivo, le domande serrate e incalzanti... ebbene, tutto questo potrebbe presto finire nel dimenticatoio... È quanto promettono Lorraine Hope (Portsmouth University, Gran Bretagna) e altri ricercatori delle università di Abertay (Scozia) e della Florida, che in questo studio hanno potuto contare sulla collaborazione delle polizie di Scozia e Inghilterra e sui fondi della British Academy. Insomma, il mondo accademico è sceso in campo per scoprire che chi ha avuto la sventura di assistere a un crimine è meglio che le domande... se le faccia da solo, e da solo si dia le risposte guidato, nella ricostruzione dei fatti, da un'auto intervista! Proprio così: niente pillole, elettrodi o altre tecniche fantascientifiche. La verità può emergere solo con il SAI (self-administered interview), un questionario sviluppato secondo le più moderne tecniche di psicologia cognitiva che, somministrato ai testimoni di un crimine, permetterebbe loro di fissare nella mente immagini e dettagli fondamentali per la soluzione del caso. Con il 43% di precisione in più rispetto ai normali interrogatori, addirittura. Perché funzioni a dovere, l'auto intervista va fatta in un arco di tempo brevissimo dal fattaccio, anche se l'interrogatorio vero e proprio avviene in seguito. Secondo gli psicologi infatti l'accuratezza del ricordo di un testimone tende a diminuire già dopo poche ore, e non c'è lampada o detective in grado di evitarlo. (Foto: Freud e Holmes, due metodi per arrivare alla stessa verità.)