L'esploratore Pigafetta fu il primo, nel 1522, ad avere l'intuizione che porterà nel 1884 all'introduzione dei fusi orari, convenzione riconosciuta a livello internazionale. Pigafetta, infatti, di ritorno il 6 settembre 1522 dalla spedizione in cui circumnavigò la Terra, si meravigliò per essere arrivato in Spagna un giorno dopo rispetto alla data annotata sul suo diario di bordo. In altre parole: durante il viaggio il navigatore prendeva nota sul suo diario di ogni giornata trascorsa, ma quando sbarcò in Spagna si rese conto – con massimo stupore – che lì erano un giorno più avanti rispetto a quanto lui credesse.
Questione di rotazione. L'esploratore, però, riuscì a darsi una spiegazione scientifica del fenomeno: stava nella rotazione della Terra intorno al Sole e della Terra su se stessa. I sopravvissuti alla spedizione che erano approdati in Spagna avevano calcolato i giorni rispetto alla circumnavigazione del globo, compiuta verso ovest, nella stessa direzione del Sole. La Terra, però, girando sul proprio asse verso est, aveva fatto accumulare ogni giorno un po' di ritardo alla nave: in pratica il Sole era passato sulle loro teste una volta in meno rispetto a chi li aveva aspettati in Spagna.
Conferma tardiva. Bisognò aspettare più di tre secoli perché questo fosse sancito ufficialmente: basandosi sul tempo impiegato dalla Terra per compiere una rotazione completa su se stessa (24 ore appunto), un accordo internazionale del 1884 divise la superficie terrestre in 24 spicchi, chiamati fusi orari, ciascuno con un'ampiezza di 15° di longitudine (corrispondenti a un'ora). Il risultato? Un viaggiatore che si sposti verso ovest, passando da un fuso orario al successivo, deve portare indietro le lancette dell'orologio ogni volta per ogni fuso, per recuperare il tempo "perso".