Ad appena 600 metri dall'Antica Pompei, nella villa romana di Civita Giuliana, è stata ritrovata una camera da letto dove probabilmente dormivano gli schiavi: i mobili, ricoperti dalla nube piroclastica poi solidificatasi che ricoprì la città nel 79 d.C., sono stati "ricostruiti" riempiendo i calchi di gesso. Il ritrovamento è stato annunciato da un comunicato stampa del Ministero della Cultura.
Gerarchia tra schiavi. La tipologia dei mobili ritrovati fa supporre agli archeologi che esistesse una gerarchia anche tra gli ultimi della società, gli schiavi: mentre uno dei due letti ritrovati è di fattura molto semplice e senza materasso, l'altro – chiamato "letto a spalliera" − sembra più confortevole e costoso. Nella cinerite (la roccia piroclastica che seppellì la città a seguito dell'eruzione del Vesuvio) sono ancora visibili le tracce delle decorazioni rosse su due delle spalliere. Oltre ai due letti sono stati rinvenuti anche due piccoli armadi, una serie di anfore, vasi di ceramica e diversi attrezzi, tra cui una zappa di ferro.
Nei vasi e nelle anfore sono stati ritrovati anche alcuni ospiti inaspettati, che testimoniano le condizioni igieniche precarie nelle quali vivevano gli schiavi: due topolini e un ratto, intrappolati nel loro tentativo di fuga dal flusso piroclastico.
Schiavi "liberi". Nella stanza non sono state ritrovate catene, né grate, né lucchetti: questo perché, spiega Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico di Pompei, era «la struttura sociale della servitù che doveva impedire fughe e forme di resistenza». I proprietari utilizzavano diversi metodi, tra cui anche la possibilità di formare una famiglia, per legare gli schiavi più strettamente alla villa: «Il controllo avveniva principalmente tramite l'organizzazione interna della servitù, e non tramite barriere e vincoli fisici», spiega il direttore. Insomma, gli schiavi della villa erano imprigionati non da catene e lucchetti, ma da vincoli invisibili e molto più resistenti di quelli fisici.