La buccia di banana fa scivolare un garzone di pasticceria con un vassoio di torte in mano. A mangiare la banana è Ollio, e il pasticciere gli tira una torta in faccia. Ollio reagisce, e tira un'altra torta. Che però colpisce un'elegante signora. Che a sua volta cercherà di colpire Ollio ma colpirà un passante... In pochi minuti la battaglia coinvolge tutto il quartiere, in un delirio di torte in faccia senza scampo per nessuno.
È una scena di La battaglia del secolo, comica del 1927 con Stan Laurel e Oliver Hardy, tutta giocata su una gag visiva, una tecnica del cinema comico chiamata "effetto palla di neve". Quella per cui da un piccolo guaio (la buccia di banana) si arriva a situazioni catastrofiche e, per questo, irresistibili. Lo stesso meccanismo ripreso magistralmente nel 1968 in Hollywood Party di Blake Edwards, nel quale il "timido indiano" Peter Sellers, con un crescendo di incidenti involontari finirà per provocare una catastrofe generale, rovinando la festa nella lussuosa villa.
le comiche slapstick. Gag come queste sono nate con il cinema comico, sviluppatosi in America negli anni '10 e '20 proprio con le comiche mute slapstick ("schiaffo e bastone") di Mack Sennett. Erano caratterizzate dal movimento: sberle, calci, acrobazie, inseguimenti giocati sul nonsense. Su questo tipo di comiche si sono formati maestri del cinema come Charlie Chaplin e a esse si sono ispirati tutti i grandi artisti: Stan Laurel e Oliver Hardy, Buster Keaton, i Fratelli Marx, fino a Jerry Lewis, John Belushi, Woody Allen, Jim Carrey o il Leslie Nielsen della serie "demenziale" anni '80 Una pallottola spuntata.


Gli oggetti si ribellano all'uomo. «L'invenzione della gag visiva con effetto sorpresa è uno dei punti di forza che contraddistinguono la comicità cinematografica da quella teatrale o televisiva. Il comico cinematografico, infatti, utilizza tecniche come il montaggio, il sonoro non in sincronia con le immagini e il fuori campo fino allora inutilizzate (il cinema fino a quel momento somigliava molto al teatro)», spiega Angelo Moscariello, critico e saggista, autore del Dizionario del cinema comico americano.
Nelle gag, poi, c'è il rapporto conflittuale con gli oggetti quotidiani che si ribellano all'uomo: Charlot "lotta" con un dispettoso letto apribile in Charlot ubriaco, Buster Keaton contro una casa ruotante in Una settimana. Secondo Francesco Casetti, docente di Cinema e media alla Yale University, «il comico al cinema è stato una variante del tragico: la lotta dell'uomo contro le cose, la volontà segreta degli oggetti, contro il destino.
Una lotta che i personaggi sullo schermo perdevano per divertire gli spettatori, sollevandoli anche dall'idea che quello che stavano vedendo, prima o poi, sarebbe toccato anche a loro». Un altro esempio? In Tempi moderni, del 1936, Charlot operaio impazzisce per colpa dei ritmi della catena di montaggio della fabbrica e finirà inghiottito dagli ingranaggi delle gigantesche macchine rotative.


Il sonoro "da ridere". Le gag del cinema comico sono poi quasi scomparse nel cinema sonoro degli anni '40, '50 e '60, in cui contavano soprattutto la storia e la psicologia dei personaggi. «Con l'eccezione, nel 1941, di Hellzapoppin', commedia musicale scatenata che ha introdotto la grande novità della "gag metafilmica", quella in cui il personaggio combatte non solo con gli oggetti, i personaggi nemici, ma addirittura col linguaggio del cinema» continua Moscariello. In Hellzapoppin', infatti, i protagonisti si devono "proteggere" dalla dissolvenza che rischia di farli scomparire e dal montaggio "sbagliato" che rischia di metterli in gravi difficoltà spazio-temporali. Nella famosa scena del "fuori quadro", per esempio, gli stessi personaggi avvisano il proiezionista di sistemare il quadro per poter andare avanti con la vicenda.
Le screwball commedy. Eredi delle gag visive del primo cinema comico e poi di Hellzapoppin' sono stati, tra i tanti, lo "svitato" Jerry Lewis in Ragazzo tuttofare del 1960 (gag a ripetizione in una storia nonsense nella quale Lewis non parla mai) o il Woody Allen sempre fuori posto di Provaci ancora Sam o di Amore e Guerra che poi, negli anni, insieme a Mel Brooks (Frankenstein junior), rappresenterà al meglio l'umorismo di matrice ebraica. Ma anche il filone "demenzial-intelligente" di John Landis (The Blues Brothers ('80), la serie di Una pallottola spuntata con Leslie Nielsen o quella di Una notte da leoni (2009).
A far ridere il pubblico cinematografico non sono solo le gag visive. Un altro filone comico si rifà alla commedia più tradizionale: la screwball commedy (commedia svitata) degli anni '30 e '40. Spiega Moscariello: «Accadde una notte di Frank Capra del '34 diventa un punto di riferimento per tutta la produzione a seguire e la coppia Clark Gable-Claudette Colbert è stata pioniere dei battibecchi uomo-donna di tante commedie di Lubitsch o di George Cukor». Un filone che ha influenzato un capolavoro del dopoguerra come A qualcuno piace caldo di Billy Wilder (1956) ma anche Tutti pazzi per Mary (1998) dei fratelli Farrelly con Ben Stiller e Cameron Diaz.


Il nostro grande Totò. Il cinema comico americano ha spesso avuto questa grande risorsa: gli attori sono gagmen, cioè autori delle loro gag.
Come oggi Ben Stiller o Sacha Baron Cohen e le sue satire di costume (Borat e Il dittatore). Il cinema italiano, invece, è rimasto per lo più schiavo della commedia dell'arte di matrice teatrale o della comicità cabarettistica e televisiva di oggi. «Con un'eccezione storica: il Totò dei primi film degli anni '40, quello di Totò al giro d'Italia o Totò nella fossa dei leoni, nel quale aveva una prestazione disarticolata e surreale che poi perse nei successivi film degli anni '50 in cui recitava con De Filippo o Aldo Fabrizi», dice Moscariello, autore anche del saggio Gag. Guida alla comicità slapstick. Che aggiunge: «La commedia all'italiana ha saputo sfruttare al meglio le gag soltanto in titoli come I mostri di Risi o nell'Armata Brancaleone di Monicelli, ma per il resto (salvo alcune eccezioni firmate da Ettore Scola) ha soprattutto fatto da riflesso alle abitudini della società italiana».


Commedie all'italiana. Altre eccezioni: il Paolo Villaggio della serie dedicata a Fantozzi, l'esordio a base di gag simili a quelle di Jacques Tati in Ratataplan di Nichetti e quelle di Aldo, Giovanni e Giacomo in Tre uomini e una gamba. Del resto, anche certi cinepanettoni, pur specchio della volgarità nazionale, si sono ispirati ai meccanismi slapstick. E la commedia all'italiana? Nei film con mattatori della risata come Sordi, Gassman, Manfredi, Tognazzi non si ritrova la pura comicità del mezzo cinematografico, bensì quella basata di matrice teatrale, basata sui dialoghi. E anche Troisi, Benigni, Nuti, Pieraccioni, Moretti, Verdone o Checco Zalone, ci hanno fatto divertire con commedie sentimentali-psicologiche legate a un contesto molto italiano e, spesso, dialettale.
Dov'è dunque la pura e semplice formula della comicità del mezzo cinematografico? In quella visiva di Jerry Lewis o di Jim Carrey ma anche nel nonsense della "bibbia del cinema comico": L'aereo più pazzo del mondo. È questa, infatti, la comicità che non deve essere "tradotta" perché è immediata e diretta. Ed è quella che arriva a tutti, in ogni tempo e in ogni luogo, forse addirittura nelle lontane galassie. Proprio come immaginava Ray Bradbury, lo scrittore di fantascienza che amava tanto il cinema, nel suo racconto L'addio di Stanlio e Ollio ad Alpha Centauri, nel quale i due poeti della risata viaggiano tra le galassie per portare un sorriso all'umanità.