Alan Bennett, noto commediografo inglese, quando divenne fiduciario della National Gallery di Londra, disse: «Mi piacerebbe che all'ingresso ci fosse un cartello con scritto: "Non deve per forza piacerti tutto". Una battuta, certo, che però riassume un dubbio che serpeggia nella mente della stragrande maggioranza di coloro che entrano in un museo. Bisogna apprezzare tutto quello che stiamo per vedere?
E se quel quadro di Leonardo da Vinci o di Picasso, non ci colpisce o, peggio, ci respinge, lo si può dire all'amico che ci accompagna (o almeno lo si può pensare) senza sentirsi ignoranti e insensibili? Perché, ammettiamolo, a tutti è capitato di stare davanti a un "capolavoro" con l'aria smarrita di chi non sa bene perché sia finito lì.

Del resto, "l'aria mistica" di molti musei contribuisce a far sentire inadeguato chi li visita. Un disagio spesso aumentato dal timore reverenziale che si prova nei confronti dell'arte antica studiata (spesso male e malvolentieri) a scuola. E contribuisce anche il prezzo del biglietto: si è portati a pensare "se pago, quello che sto per vedere ha un valore, quindi mi deve per forza piacere".
Un piacere, non un dovere. Non è così. «Quando lo spettatore riesce a rimanere da solo con l'opera, ha la possibilità di esprimere un giudizio personale. Questo "incontro" può concludersi nella totale indifferenza, in un'esperienza piacevole o anche in uno scontro», sostiene Serena Giordano, docente all'Accademia Belle Artidi Genova. «Quando entriamo in un museo dovremmo lasciare a casa l'ammirazione "doverosa" nei confronti dell'arte del passato e la diffidenza nei confronti dell'arte contemporanea. Ricordandoci che l'arte è un piacere, e non deve mai diventare un dovere».
Come guardare un quadro o una statua, allora? «Dobbiamo lasciarci guidare dalle emozioni senza pregiudizi» risponde Luca Beatrice, docente di Storia dell'arte contemporanea presso l'Accademia Albertina di Torino. «Anche perché l'arte sembra spesso molto più difficile di quello che è in realtà; soprattutto quando siamo di fronte a certe opere d'arte contemporanea, dobbiamo renderci conto che il più delle volte sono più "facili da leggere" del manuale di istruzioni di un telefonino».
che cosa vuol dire? Per esempio, opere di "arte povera" - il movimento artistico sorto in Italia nella metà degli anni '60 tra Roma e Torino - come la Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto che rimanda al contrasto tra la bellezza ideale e la provvisorietà dell'esistenza (alla quale alludono gli stracci), o come Verso oltremare di Giovanni Anselmo, che utilizza la pietra per dare la sensazione del mare oscuro all'orizzonte, non sono opere "difficili" perché il loro significato è assolutamente intuitivo anche se utilizzano un linguaggio della pittura o della scultura diverso da quelli a cui siamo abituati.
«Al contrario, opere "tradizionali" come la Madonna dal collo lungo del Parmigianino oppure la Melencolia I di Albrecht Durer, sono difficili da decodificare poiché contengono allusioni e trasposizioni simboliche studiate da secoli».


Dunque, l'arte vive soprattutto di emozioni. E ciò fa sì che qualsiasi particolare ci attiri, anche se ci fa sorridere, va bene. Alan Bennett, per esempio, ricorda una signora che, di fronte alla Duchessa brutta di Quentin Massys, trovava una spiccata somiglianza con la sua vicina di casa. E commenta: «La signora ignora sicuramente che nel passato del dipinto c'è una caricatura di Leonardo, e che quel disegno a sua volta ispirerà la Duchessa brutta di Alice nel paese delle meraviglie illustrata da Tenniel. Ma se la somiglianza con la vicina riesce a mantenere vivo il ricordo del quadro, va benissimo».
Occhio ai particolari. E ancora, secondo Stefano Zecchi, ex docente di Estetica all'Università degli Studi di Milano, la prima cosa da fare davanti a un quadro è osservarne i particolari senza preoccuparsi di collocarlo in un'epoca piuttosto che in un'altra: «Prendiamo la Tempesta del Giorgione provando a coglierne tutti i particolari: l'uomo, che non si capisce se è un guerriero, che osserva la donna col seno scoperto, lo sfondo della tempesta, le mura, i resti romani... Poi proviamo a fare una sintesi dell'insieme, e poi di nuovo torniamo al particolare». Osservando un'opera in questo modo, secondo l'esperto, è possibile formarsi un giudizio personale.

Curiosità storica. L'impressione personale, le emozioni che s'intrecciano con i ricordi sono quindi fondamentali. Ma sono sufficienti? Secondo gli esperti d'arte, no. Dopo dovrebbe scattare la curiosità storica: scoprire quando e come sono state fatte le opere. «Mentre vorrei che la prima volta che entra in un museo la gente non girasse con le cuffie in testa, in questa seconda fase è necessario. Quando il terreno dalla nostra sensibilità è già dissodato, occorre approfondire; altrimenti si rischia di non capire davvero ciò che voleva dire l'artista» sostiene Zecchi, spiegando che la "conoscenza estetica" dipende dalla propria sensibilità, ma anche dalla cultura.


Come andare allo stadio. Andare a una mostra, quindi, è un po' come andare a vedere una partita di calcio. La prima volta possiamo non capire niente del gioco, che perciò non ci piace, ma se torniamo e poi riusciamo a comprenderne le meccaniche, finiamo per apprezzarlo.
«Tanto più capisco i dettagli del quadro, l'uso del colore, la tecnica e metto insieme questi elementi, tanto più acquisisco un piacere dal punto di vista estetico e, sulla base di questo piacere, una vera conoscenza teorica», conclude Zecchi.

Certo, più grande è l'artista e più è difficile esprimere la propria opinione e formarsi un giudizio autonomo. Ma occorre cercare di non avere nessun "timore reverenziale", nemmeno per maestri indiscussi come Leonardo. Alan Bennett confessa di non andare matto per certi dipinti del maestro: trova, ad esempio, il San Giovanni Battista particolarmente indisponente. «È il sorriso che mi urta. Nei dipinti del tempo i sorrisi erano piuttosto rari, credo, ma questo è così insinuante che praticamente è come se ti dicesse: "Allora, vieni a trovarmi una volta o l'altra?"». Ecco perché sarebbe utile quel cartello davanti a tutti i musei. Perché non deve piacerci tutto.