Arte

Alla scoperta del misterioso "prodigio" che si cela nel Cristo Velato

Il Cristo Velato, indiscusso capolavoro di Giuseppe Sanmartino, sembra ancora palpitare di vita, avvolto dalla trasparenza di quel velo che sembra frutto di un misterioso prodigio.

La Cappella Sansevero (vedi foto sotto), nel cuore del centro storico di Napoli, è un luogo affascinante e pieno di mistero, scrigno di sculture e ornamenti. Fondata inizialmente alla fine del XVI secolo, come tempio sepolcrale della famiglia di Sangro, deve la sua fama alla figura eclettica di Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero che, a partire dal 1750, decise di creare uno spazio unico, che rappresentasse la potenza del suo casato, valorizzandolo con numerose opere d'arte, frutto di un elaborato progetto.

Cappella Sansevero
Cappella Sansevero, Napoli (dalianera / Flickr, CC BY-NC-SA 2.0) © dalianera / Flickr

Il capolavoro più celebre dell'intera Cappella è il Cristo Velato, opera marmorea che Giuseppe Sanmartino (1720-1793), artista napoletano, realizzò nel 1753 su commissione del Principe di Sansevero. Ricavata da un unico blocco di marmo, la scultura rappresenta il corpo di Cristo, senza vita, dopo essere stato deposto dalla croce, adagiato in orizzontale al centro della navata, creando un dialogo unico e privilegiato con le altre sculture.

Segni del martirio. Il corpo pare quasi esalare l'ultimo respiro: la vena palpitante sulla fronte, le trafitture dei chiodi sulle mani, il costato scavato. Ai piedi sono posati i simboli del martirio: la corona di spine, i chiodi e la tenaglia.

Cristo velato, volto
Dettaglio del Volto del Cristo Velato, Giuseppe Sanmartino, 1753 (Credito: David Sivyer / Flickr, CC BY-SA 2.0) © David Sivyer / Flickr

Ma ciò che più colpisce è il velo, realizzato con magistrale trasparenza e delicatezza e che, proprio per la straordinaria fattura, ha contribuito al diffondersi di aneddoti e leggende.

Si narra, infatti, che sia stato realizzato non dallo stesso blocco di marmo, ma da una procedura chimica di calcificazione dei cristalli di un velo reale posto sopra il marmo e poi a questo fuso. Anche a distanza di secoli, la storia è dura a morire.

Mistero. L'alone di mistero che avvolge la quasi liquida trasparenza del sudario continua, infatti, ad essere alimentata. D'altra parte, l'intenzione era quella di suscitare meraviglia: non a caso fu lo stesso committente a constatare che quel velo marmoreo era tanto impalpabile e "fatto con tanta arte da lasciare stupiti i più abili osservatori".

 

Macchine anatomiche, Cappella Sansevero
Una delle due Macchine Anatomiche conservate nella Cappella Sansevero © Shutterstock

Le macchine anatomiche. Lo stesso Principe di Sansevero fu un "indagatore dei più reconditi misteri della Natura", come recitano le lettere in rilievo sulla sua lapide. All'interno della Cappella, infatti, è possibile ammirare anche le cosiddette Macchine Anatomiche (foto sopra), due scheletri umani (uomo e donna) attorno ai quali è ancora perfettamente conservato, mediante una tecnica sconosciuta, l'apparato circolatorio.

Si narra che quest'ultimo sia stato ricostruito con materiali eterogenei da mano umana, ma non si esclude, come vuole la più diffusa leggenda, che le due macchine siano state realizzate iniettando delle sostanze chimiche nei corpi di due poveri servi che lavoravano al servizio del Principe.

Persino il canova... Tra gli estimatori dell'opera vale la pena ricordare il celebre Antonio Canova il quale dichiarò che avrebbe dato dieci anni di vita pur di essere lo scultore del Cristo Velato.

Nonostante tutto, c'è ancora chi pensa che, tra le mura dell'edificio, il Principe abbia commesso cose indicibili e che dietro le figure, avvolte in sottilissimi veli e reti di pietra, si celino anime innocenti imprigionate per sempre nel marmo.

Per approfondire:

Catello E., Giuseppe Sanmartino, Ed. Electa, 2004;

Höbel S., La cappella filosofica del Principe di Sansevero, Ed. Mirabilia, 2010;

De Rose A., Napoli, la Cappella Sansevero. La storia, le opere, gli artisti, Ed. Rogiosi, 2014.

17 gennaio 2023 Giovanna Benedetta Puggioni
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