Arte

La “Monna Lisa d'Egitto” è un falso?

Un egittologo italiano solleva enormi dubbi sul dipinto delle oche di Meidum. Che nascondono un mistero, o uno scherzo colossale di chi lo ritrovò (un altro italiano). 

Il fregio egizio delle Oche di Meidum, un'opera così rappresentativa e conosciuta che è stata ribattezzata “la Monna Lisa dell'Antico Egitto”, potrebbe essere un falso.

Lo rivelano studi condotti dall'egittologo italiano Francesco Tiradritti sui tipi di uccelli raffigurati e sui colori utilizzati, assenti nell'epoca in cui era stato datato. Il ricercatore ritiene che si tratti di una pittura realizzata ad arte nel diciannovesimo secolo, forse per scherzo, dalla stessa persona che trovò il pannello, il pittore e curatore museale Luigi Vassalli.

La caccia delle oche. Il (forse non più) capolavoro egiziano fu scovato nel 1871 nei pressi della piramide di Meidum, costruita dal faraone Snefru, che regnò nel periodo 2610-2590 a.C.. Il complesso funerario era destinato a ospitare le spoglie di suo figlio, Nefermaat.

Secondo Tiradritti fu un certo Luigi Vassali a scoprire la pittura delle oche1, in una cappella riservata a Atet, moglie di Nefermaat. La rimosse, per farla finire nel Museo Egizio del Cairo. Il lavoro, realizzato con tecnica puntiforme su uno stucco che misura 27 cm di altezza e 172 di lunghezza, rappresenta una scena di caccia sulle rive del Nilo. L'armonia dell'immagine, la bellezza dei colori, la precisione nei dettagli, lo sfondo sfuocato da cui emerge la plasticità delle oche sono valse all'opera il paragone con il capolavoro di Leonardo da Vinci, dandole fama mondiale.


Gli uccelli sospetti. «Dopo mesi di analisi, sono arrivato alla conclusione che ci sono dei dubbi sulla veridicità dell'opera», spiega Francesco Tiradritti, docennte di Egittologia presso l'Università “Kore” di Enna, che a breve pubblicherà il suo studio nei dettagli su il Giornale dell'Arte e sul corrispettivo inglese, The Art Newspaper.

Luigi Vassalli, che per primo scoprì il dipinto nel 1871 e lo rimosse. È lui l'autore del falso? © Francesco Tiradritti

Sono gli uccelli a non convincere il professore. In particolare due di essi sono specie mai apparse in Egitto, la Anser albifrons, detta anche oca lombardella (la coppia nella metà sinistra della pittura, con il becco orientato a sinistra) e la Branta ruficollis, ovvero l'oca dal collo rosso (la copia dal piumaggio grigio e dal petto rosso che guarda verso destra). Le prime apparterrebbero a una specie che prolifera nella tundra e nella taiga (Siberia, Canada, Groenlandia, Alaska) e va a svernare in Europa, fra Italia, Grecia e Spagna, le oche dal petto rosso si riproducono in Siberia nella tundra e scendono ancora più raramente a svernare oltre la Grecia.

Colori ed equilibri. La provenienza degli uccelli non prova di per sé la falsità della pittura, ma fa quantomeno sollevare dei dubbi. Altri elementi a sostegno della tesi di Tiradritti sono i colori, mai visti in altre pitture egizie (i toni del beige e di quel rosso vinaccia) e le ombre del rosso e dell'arancione, anche queste senza riscontro in altre immagini. Anche la forma delle oche non corrisponde ai canoni dell'epoca, dato che ai tempi non si raffiguravano soggetti delle stesse dimensioni come si vede con le oche, ma piuttosto si tendeva a comunicare sempre l'importanza di un soggetto rispetto a un altro disegnandolo più grande.

Qui c'è un equilibrio che è «un aspetto comune all'arte moderna», spiega Tiradritti.

Non bastasse, non tornano nemmeno le crepe del pannello, che non corrispondono a quelle della parete della cappella di Atet.


L'ipotesi shock. Dopo aver analizzato fotografie ad alta risoluzione, Tiradritti aggiunge che la vera pittura potrebbe trovarsi sotto la superficie del pannello. «Lo sfondo è stato come ridipinto in una sfumatura blu del grigio», racconta lo studioso, «e in alcuni punti si vedono ombre più chiare appartenenti a un'altra pittura».


Gli studiosi di egittologia che sono stati informati in anticipo sulle teorie di Tiradritti hanno avuto reazioni che vanno «dallo sbalordimento all'incredulità», racconta il professore, «“ma alla fine dovranno mettere che quello che dico potrebbe essere corretto».


Chi è stato? Per scoprire davvero se sotto le oche si celi la vera pittura di Meidum sarebbe necessaria una analisi non invasiva sugli stucchi. Solo allora potremo svelare l'arcano. Secondo Tiradritti il falso potrebbe essere opra di Vassalli, lo scopritore del dipinto. Curatore del Museo Bulaq al Cairo, nonché artista egli stesso, Vassalli non ha mai pubblicato una riga sui suoi manoscritti a proposito della scoperta, cosa un po strana dato che sembrava amare così tanto le oche di Meidum. Questo silenzio ne fa il sospettato principale: le oche potrebbero essere opera sua.

Il piccolo dipinto trovato nella tomba egizia che fa supporre la mano di Vassali dietro le Oche di Medium. L'avvoltoio e il cestino corrispondono alle lettere G e A, iniziali della sua seconda moglie: Angiola Gigliati. © Francesco Tiradritti


E perchè? Non si sa: forse per offrire al suo museo un oggetto prezioso, forse per divertimento. Ma c'è un altro indizio scovato da Tiradritti, che rivelerebbe molto. Nella cappella di Atet c'è un frammento di una pittura che rappresenta un avvoltoio e un cesto: nel linguaggio dei geroglifici egizi corrispondono alle lettere G e A. Sono le iniziali della seconda moglie di Vassalli, Angiola Gigliati. Sarebbe quindi la firma occulta di uno scherzo colossale che potrebbe aver retto fino ai giorni nostri.

Una notizia che sembra fatta apposta per celebrare la giornata di oggi, primo aprile. Ma che non è affatto uno scherzo come quella sul ritorno dei draghi.

1 Spiega Tiradritti in un'intervista al Giornale dell'Arte:

Luigi Vassalli lavorò per più di un ventennio come curatore al Museo di Bulaq, l’allora sede della raccolta di antichità cairote. Anche se all’epoca la direzione era attribuita al francese Auguste Mariette era Vassalli che si occupava davvero delle collezioni. L’asporto dal muro delle «Oche» dalla Mastaba di Nefermaat e Atet è attribuito a lui da Albert Daninos, un altro funzionario delle Antichità egiziane.

1 aprile 2015 Martino De Mori
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