"Il più colossale monumento in pietra costruito a suo tempo in Europa". È così che gli studiosi hanno definito il Dolmen di Menga, un antico tumulo funerario situato vicino alla città Antequera, a poco più di 50 km da Málaga, in Spagna, risalente a circa 5.700 anni fa. Un articolo pubblicato sulla rivista Scientific Reports ha svelato alcuni dei segreti che stanno dietro alla sua realizzazione, approfondendo le tecniche utilizzate per erigerlo, incredibilmente evolute nel contesto europeo dell'epoca.
Struttura unica. Costruita sulla cima di una collina, la struttura in questione ha dimensioni notevoli (è lunga 27,5 metri, larga 6 metri e alta 3,5 metri) ed è parte di un complesso neolitico eretto trasportando sul posto oltre trenta megaliti. Il più grande tra questi raggiunge 180 tonnellate, superando di più di sette volte il peso dei blocchi di Stonehenge. Il termine dolmen indica per l'appunto un tipo di tomba preistorica diffusa in varie parti del continente europeo e formata da lastre di pietra appoggiate su pochi pilastri grezzi conficcati verticalmente nel terreno. In alcune architetture megalitiche si sviluppano diversi ambienti, come nel caso di Menga caratterizzato da un'apertura verso l'esterno e da spazi interni culminanti in una camera sepolcrale di forma ovale.
Gli studiosi conoscono tale costruzione da tempo e hanno cominciato a studiarla già alla metà del XIX secolo considerandola un importante esempio di architettura funeraria megalitica, tanto che nel 2016 il Dolmen di Menga si è guadagnato un posto tra i beni patrimonio dell'umanità dell'Unesco. Il nuovo studio, condotto da un team di scienziati di diversi istituti di ricerca e università spagnole (tra cui gli atenei di Siviglia, Salamanca e Alcalá), si è focalizzato sull'esame delle pietre di cui è composto l'edificio, utilizzando a tal fine tecniche di analisi petrografica e stratigrafica.
Pietre rivelatrici. È così emerso che i blocchi in questione erano per lo più costituiti da calcarenite, una tipologia di roccia sedimentaria detritica relativamente "morbida" e facilmente lavorabile. Partendo dalle particolarità di questo materiale, i ricercatori hanno dedotto un eccellente livello di conoscenze da parte dei costruttori del Dolmen di Menga. Il motivo risiede proprio nella fragilità della calcarenite, che ne rende molto difficile il trasporto senza causare danni. Lo studio suggerisce dunque che per evitarli, gli "ingegneri" neolitici dovettero pianificare il percorso compiuto non solo spianando le strade, ma anche usando impalcature e corde posizionate in modo certosino.
Giochi di luce. A stupire, tra le altre cose, è stata la perizia con cui fu adagiata la pietra che copre il tetto della camera funeraria, del peso di ben 150 tonnellate. Non bastasse, era stato escogitato un metodo per incastrare le pietre ai bordi della camera sepolcrale incanalando le infiltrazioni d'acqua al fine di prevenire l'erosione della roccia. Stando ai ricercatori, tutte queste incredibili capacità ingegneristiche, dallo sposamento dei blocchi per svariati km in una zona collinare fino al loro perfetto assemblaggio, deve aver richiesto enormi investimenti in manodopera e un'organizzazione logistica molto articolata. Infine, il dolmen era anche allineato con le vicine montagne in modo da creare intricati schemi di luce all'interno della camera, circostanza che suggerisce non solo una complessa pianificazione architettonica, ma anche una comprensione avanzata dell'astronomia.