I pianisti hanno una diversa organizzazione di alcune aree cerebrali: quelle che analizzano i suoni. È stato infatti dimostrato che imparare a suonare il pianoforte durante l’infanzia e proseguire gli studi fino all’età adulta modifica la struttura cerebrale. Questo perché il nostro cervello cambia e impara continuamente, dimostrando una grande capacità di adattarsi all’ambiente. Inoltre, secondo uno studio di Fredrik Ullen, del Karolinska Institutet (Stoccolma), pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience, continuare a esercitarsi stimola la produzione di “sostanza bianca”, la mielina, un composto grasso che circonda i nervi e che serve a velocizzare la trasmissione dei segnali, potenziando ad esempio i nervi che permettono di muovere in modo indipendente le dita delle mani. Lo studio è stato realizzato su un campione di 8 pianisti professionisti e 8 volontari non musicisti, tutti dell’età di 32 anni: quando la maturazione delle fibre nervose dovrebbe essere completata.
(Ascoltare Mozart rende davvero più intelligenti?)
Note libere
Qualcosa di particolare accade anche al cervello dei jazzisti: durante le improvvisazioni si spengono le aree dell’inibizione e si attivano quelle dell’espressività. Lo ha scoperto Charles Limb, dell’Università Johns Hopkins (New York), con la risonanza magnetica funzionale.
(Tutti i colori della musica - I nostri cervelli? Tutti uguali, ma non troppo)