Arte

Le Signore dell'Arte in mostra

Con la riapertura dei musei è finalmente visitabile in presenza "Le signore dell'Arte", mostra sulle donne artiste vissute tra il '500 e il '600 allestita al Palazzo Reale di Milano.

Aggiornamento del 27 aprile - Le Signore dell'Arte, 150 capolavori di 34 pittrici italiane esposti a Palazzo Reale, è - come da programma - visitabile in presenza anche nei weekend fino al 25 luglio. Per informazioni sulle prenotazioni (obbligatorie per il fine settimana) e su come accedere in sicurezza rispettando le norme anti covid fate riferimento al sito dell'esposizione o a quello di Palazzo Reale.
 
 
Le Signore dell'Arte, di Irene Merli
Prima di loro, le donne nell'arte erano modelle o muse. Poi, tra Rinascimento e Barocco, arrivarono le pioniere, figure femminili straordinarie tanto possedute dal sacro fuoco da non voler più rinunciare ai pennelli in nome del decoro e del buon nome. La mostra Le signore dell'arte. Storie di donne tra '500 e '600 ci presenta questa "invencible armada" attraverso 150 opere di 34 artiste italiane vissute tra XVI e XVII secolo: alcune note, come Artemisia Gentileschi, Sofonisba Anguissola (citata anche nelle Vite del Vasari) e Marietta Robusti, detta la Tintoretta, altre molto meno o addirittura sconosciute.

Artiste e imprenditrici. Questa "mostra collettiva" è quindi l'occasione per scoprire talenti, opere e squarci di vite spesso avventurose, a loro modo moderne, sicuramente fuori dagli stereotipi. Non va infatti dimenticato che le 34 pittrici vivevano in un'epoca in cui le donne non erano ammesse alle Accademie né erano ben viste nelle botteghe. In pratica, senza un uomo alle spalle non avrebbero potuto dipingere, a meno di entrare in convento. Risultato? Le "signore dell'arte" in questione furono quasi tutte figlie, sorelle, mogli di pittori, di cui però non furono mai ancelle o imitatrici. Anzi, potendo studiare, spesso li superarono in bravura e fama, e si rivelarono anche imprenditrici di loro stesse.

Grazie alle grandi capacità di relazioni e all'irriducibile determinazione, non poche di loro raggiunsero committenze elevatissime (Filippo II di Spagna, Carlo I d'Inghilterra, Papa Gregorio XIII, Rodolfo II d'Asburgo, Cosimo III de' Medici, Anna d'Austria, il Cardinale Richelieu, i Savoia, I Gonzaga), e intrattennero scambi con "colleghi" del calibro di Michelangelo, Antoon van Dyck, i Carracci, Arcimboldo, Guido Reni, persino Galileo Galilei. E poiché la scienza fa bene anche all'arte, in esposizione ci sono sei minuti di imaging diagnostico (offerti dalla Fondazione Bracco) su due ritratti in pergamena dei duchi di Savoia Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele eseguiti da Giovanna Guerzoni, miniaturista ascolana, che hanno permesso di valorizzare queste due delicate opere svelandone molti segreti.  

   ELISABETTA SIRANI, TIMOCLEA UCCIDE IL CAPITANO DI  ALESSANDRO MAGNO
Elisabetta Sirani: Timoclea uccide il capitano di Alesandro Magno (1659). Timoclea, tebana, fu violentata da un comandante dell'esercito di Alessandro che poi tentò di costringerla a rivelare il nascondiglio dei tesori di famiglia. La giovane gli disse che erano in fondo a un pozzo e quando l’uomo si sporse, gli diede una tale spinta che lo fece cadere dentro e gettò pietre su di lui fino a farlo morire. Arrestata e portata davanti ad Alessandro, ottenne la grazia perché il Macedone rimase ammirato dal suo coraggio. La Sirani ci presenta la scena nel momento in cui la spinta sta avvenendo, e l’uomo sta cadendo nel pozzo. © Wikimedia Commons

Elisabetta Sirani (1638-1665). Pittrice innovativa, si era formata nella bottega del padre, allievo di Guido Reni, aveva iniziato molto giovane a dipingere.

La Sirani privilegiava nei suoi dipinti soggetti storici e mitologici (temi di appannaggio dei pittori maschi) con protagoniste femmes fortes come lei, che aveva creato a Bologna una scuola d'arte per bambine e giovani pittrici, osava firmare le sue opere su bottoni, polsini, scollature e cuscini, e dipingeva in compagnia dei committenti, per convincerli che era lei e non un uomo a realizzare i suoi quadri. Quando il padre smise di lavorare per la gotta, presei in gestione la bottega, non si sposò e visse della sua professione, realizzando 200 opere in soli 10 anni. Elisabetta Sirani, infatti, morì improvvisamente a 27 anni a causa di una peritonite. E negli encomi funerari si disse che dipingeva "da homo, anzi più che da homo".

SOFONISBA ANGUISSOLA, IL GIOCO DEGLI SCACCHI (1555)
Sofonisba Anguissola: Il gioco degli scacchi (1555). Quest’opera rappresenta tre sorelle dell’autrice, mentre giocano a scacchi in eleganti abiti dai drappeggi dorati, con una vecchia fantesca che le sorveglia. La scena è ambientata in un giardino verdeggiante, probabilmente quello che si vedeva dal patio della loro casa di Cremona, e risulta molto viva ai nostri occhi: una delle ragazze guarda verso di noi, la piccola ride e l’altra alza la mano presa dal gioco. © The Raczyński Foundation at the National Museum in Poznań

Sofonisba Anguissola (1535-1632). Nome da eroina cartaginese, talento e determinazioni da vendere, fu la prima artista donna a raggiungere una fama internazionale, in particolare nel campo della ritrattistica. A soli 26 anni si trasferì alla corte di Filippo II di Spagna come pittrice e  dama di corte di Elisabetta di Valois, ed ebbe una carriera lunga e sfolgorante, durante la quale attirò l'attenzione del Vasari, di Michelangelo e forse anche di Caravaggio. Morì a 92 anni e poco prima, quando ormai ci vedeva pochissimo, ricevette la visita di van Dyck che la ritrasse e disse "ho ricevuto maggiori lumi da una donna cieca che dallo studiare le opere dei più insigni maestri".

Sofonisba non fu figlia d'arte, ma ebbe dalla sua un grande padre, uomo colto e disegnatore per diletto, che volle per tutti i suoi sette figli, sei femmine e un maschio, un'educazione alla pittura e alla musica, e spinse in ogni modo la carriera della figlia, inviando anche suoi disegni a Michelangelo. Ma per onor di cronaca va detto che in tutta la lunga attività artistica, l'Anguissola non fu mai pagata in contanti, come i colleghi, ma con doni e rendite.

FEDE GALIZIA, GIUDITTA CON LA TESTA DI OLOFERNE (1601)
Fede Galizia: Giuditta con la testa di Oloferne (1601). La pittrice milanese, figlia di un artista giunto da Trento, fu la prima donna a dipingere questo celebre soggetto biblico che rappresenta però in modo incruento, con Giuditta che, impassibile e riccamente abbigliata, esibisce la testa recisa di Oloferne su un vassoio. Solo la vecchia fantesca lascia trasparire il suo turbamento, nel gesto del dito portato alla bocca per lo stupore. © Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo – Galleria Borghese

Fede Galizia (1574/78-1630). Ragazza prodigio, esordì a 12 anni come miniaturista. Ed ebbe un successo straordinario soprattutto per le sue splendide nature morte, opere di rara bellezza e precisione (una di esse è stata di recente battuta a un'asta di New York per quasi 2 milioni di euro). Alcune sue opere arrivarono addirittura alla corte imperiale di Rodolfo II d'Asburgo, grazie alla mediazione del "collega" Giuseppe Arcimboldi (l'Arcimboldo). L'artista, tanto acclamata e in fase di riscoperta, morì sotto la scure della Grande Peste manzoniana del 1630.

GIUSTINA FETTI  (SUOR LUCRINA). RITRATTO DI ELEONORA GONZAGA I (1622)
Giustina Fetti (suor Lucrina): Ritratto di Eleonora Gonzaga I (1622). La nobildonna nel dipinto era la figlia più giovane del duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga, che andò sposa all’imperatore Ferdinando d’Asburgo II proprio nella data del ritratto. Eleonora, dopo la morte della madre, entrò nel convento di Sant’Orsola, dove anche Giustina Fetti prese i voti come suor Lucrina, nel 1614. © Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo. Foto di Michelotti

Giustina Fetti - suor Lucrina (1590-1650). Era nata a Roma in una famiglia di artisti: sorella del rinomato pittore Domenico Fetti, arrivò alla corte dei Gonzaga con lui e fu proprio il duca a pagare la cospicua dote per il suo ingresso in convento, con l'impegno che l'avrebbe restituita in dipinti. La giovane accettò la proposta, anche perché l'abito sacro le permetteva di andare ogni giorno nello studio del fratello senza scatenare volgari maldicenze, rischiare violenze o dover interrompere l'attività per impegni familiari. Libera di esprimersi, Lucrina dipinse raffinati ritratti di donne di casa Gonzaga e soggetti religiosi per il convento. L'unica limitazione che le venne imposta, come religiosa, fu lo studio del corpo umano: dovette ovviare con la sua capacità di osservazione.

ARTEMISIA GENTILESCHI, DAVID CON LA TESTA DI GOLIA (1631)
Artemisia Gentileschi: David con la testa di Golia (1631). David, l’eroe biblico, è seduto. Con la mano destra tiene per i capelli l’enorme testa del gigante che ha ucciso con la sua fionda (e la ferita sulla fronte si vede), mentre l’altra è appoggiata sulle gambe accavallate. Dopo la vittoria, ci guarda in modo spavaldo e le fattezze del suo viso ricordano quelle dell’autrice. © Collezione privata

Artemisia Gentileschi (1593-1653). Figlia di un affermato pittore toscano, Orazio Gentileschi, con il suo talento riuscì a offuscarne la fama tanto che lui stesso dichiarò "è diventata così brava che posso azzardarmi a dire che non ha pari" e fu la prima donna accettata all'Accademia dell'Arte del disegno. Del resto Artemisia aveva firmato il primo capolavoro a 17 anni (Susanna e i vecchioni), mentre lavorava nella bottega romana del padre con i suoi sei fratelli maschi e altri collaboratori di Orazio. E quando scelse di trasferirsi a Firenze, ottenne importanti commissioni, anche dai Medici: non si era certo dedicata a nature morte, ritratti, paesaggi, che erano considerate peinture des femmes, ma a soggetti storici e mitologici di grande impianto e di forte impatto emotivo. Artemisia fu poi a Napoli, di nuovo a Roma e a Londra, alla corte di Carlo I con il padre, perché ormai era considerata alla pari dei colleghi maschi, se non più brava. Non per nulla le sue opere sono oggi nei più grandi musei del mondo.   

GINEVRA CANTOFOLI. GIOVANE DONNA IN ABITI ORIENTALE (1650 circa)
Ginevra Cantofoli: Giovane donna in abiti orientali (1650 circa). Sotto un turbante azzurro, emerge il viso dolcissimo di una ragazza che ci rivolge uno sguardo malinconico e pensieroso, tra mistero e introversione. © Comune di Padova - Assessorato alla Cultura

Ginevra Cantofoli (1618-1678). Pittrice bolognese del periodo barocco, dopo la morte è purtroppo finita sotto un cono d'ombra che ne ha celato l'identità per secoli. Questo stesso dipinto fino a 15 anni fa era attribuito a un artista umbro allievo del Domenichino. E anche altri suoi quadri, per lungo tempo, finirono sotto il nome di importanti pittori, godendo di una fama vastissima. Un esempio? Il ritratto Donna con turbante (presunta Beatrice Cenci), ospitato alla Galleria di Palazzo Barberini, per secoli fu attribuito a Guido Reni e ispirò pittori, scrittori e registi. Invece era suo: la critica l'ha scoperto di recente.

La Cantofoli dipinse infatti almeno 40 opere, come risulta da un inventario da lei redatto nel 1668. Non era figlia o sorella di pittori, ma suo padre era un cultore delle belle arti, che permise alle sue rampolle un'educazione elevata e aperta: la giovane fece quindi il suo apprendistato con Giovanni Andrea Sirani, e più tardi fu collaboratrice di Elisabetta. Sappiamo anche che a 35 anni si sposò ed ebbe tre figli, ma non smise mai di dipingere e di stringere scambi intellettuali con altri artisti, sino alla morte.

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27 aprile 2021 Irene Merli
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