Biondi, riccioluti e dotati di ampie ali. Secondo la rappresentazione artistica del Rinascimento e, da allora fino a oggi, è questa l'immagine degli angeli (dal latino angelus, derivato dal greco ággelos, "messaggero"), dei cherubini e dei serafini descritti nelle Sacre Scritture.
Una visione ispirata dalle parole dei profeti Isaia, Ezechiele e Davide (abbacinato dall'angelo "mandato con rapido volo"), ma che non trova riscontro nell'iconografia dei primi cristiani che, forse per differenziarli da divinità pagane come Nike, la dea alata della vittoria, ritraeva angeli privi di ali.
Maschi e barbuti. Nelle pitture delle catacombe di Santa Priscilla, del III secolo e in quelle degli affreschi dell'Ipogeo di Vibia a Roma (IV sec.), infatti, i "messaggeri divini" hanno fattezze maschili, la barba e indossano abiti che ne indicano l'alto prestigio sociale. Il passo successivo è la comparsa negli affreschi del nimbo, la candida aureola che rappresenta la grazia divina.
Soltanto a partire dalla fine del IV secolo, agli angeli iniziano a spuntare appendici alate. Una novità frutto delle suggestive teorie, avanzate tra gli altri dal teologo Tertulliano, che negavano la corporeità degli angeli, da allora ritratti come creature eteree e dotati di ali per spostarsi rapidamente.