Arte

I 70 capolavori di Goya in mostra alla Fondazione Beyeler

Per i 275 anni dalla nascita di Francisco de Goya, la Fondazione Beyeler dedica al pittore aragonese un'eccezionale esposizione mai tenuta fuori dalla Spagna.

Dal 10 ottobre al 23 gennaio 2022, in occasione del 275esimo anniversario della nascita di Francisco de Goya, la Fondazione Beyeler dedica al grande genio aragonese la più importante mostra mai tenuta fuori dalla Spagna, in collaborazione con il Museo Nacional del Prado, Madrid. Nelle sale della Fondazione alle porte di Basilea saranno esposti 70 dipinti e più di 100 tra disegni e incisioni. Non solo: parecchie opere che provengono da collezioni private spagnole, raramente viste prima, saranno accostate a celebri capolavori che arrivano invece da musei europei e americani. "Goya" assembla insomma l'intero spettro tipologico dell'artista che lavorò instancabilmente per 60 anni e affrontò ritratti, scene di genere, soggetti storici, nature morte, santi e diavoli, re e criminali, i vizi umani, i disastri delle guerre napoleoniche, fino alla lattaia di Bordeaux, la città dove morì.

Francisco de Goya, l'innovatore. Goya dipinse, disegnò, incise: in tutto fu assolutamente innovatore, libero, indipendente, nonostante la brillante carriera come pittore della corte di Spagna. Persino la scelta di ritrarre gioiose scene di vita quotidiana, invece che soggetti mitologici, era "nuova". Il genio aragonese fu anche l'astuto osservatore del dramma della ragione e dell'irrazionalità, dei sogni e degli incubi, come ben si vedrà nella mostra, dove i visitatori potranno ammirare una selezione dei fogli del ciclo Los Caprichos, tra cui la famosa acquaforte El sueño de la razón produce monstruos (Il sonno della ragione genera mostri), e un cospicuo gruppo di fogli tratto dai Desastres de la guerra, attuali ancora oggi. 

Maria del Pilar Teresa Cayetana de Silva y Alvarez de Toledo, XIII duquesa de Alba, 1795
Maria del Pilar Teresa Cayetana de Silva y Alvarez de Toledo, XIII duquesa de Alba, 1795. Dona Maria era andata sposa a un Grande di Spagna a 13 anni, e a 28, quando conobbe Goya, si diceva che anche solo un suo capello destasse desiderio. Il Duca d’Alba chiamò il pittore perché realizzasse a lui e alla moglie un ritratto a figura intera. Goya raffigurò Dona Maria con un abito bianco stretto da una fascia rossa sotto il seno, una foresta di capelli neri, lo sguardo altero e un dito che indica una scritta sulla sabbia “A la Duquesa de Alba, Fr. de Goya, 1795”. Quando il marito morì due anni dopo, la duchessa diventò musa dell’artista. Una curiosità: i ritratti rappresentano un terzo della produzione di Goya e se ne conservano più di 150. © Fundacion Casa de Alba, Madrid
Autorretrato ante su caballete, 1790-1795.
Autorretrato ante su caballete, 1790-1795. Questo piccolo dipinto è una delle rarissime tele in cui Goya è rappresentato a figura intera. Il maestro si mostra a noi nella sua bottega, mentre sta dipingendo un quadro di cui si vede solo il retro, davanti a una grande e luminosa finestra. È vestito da borghese, con grande eleganza: indossa calzoni marroni, una giacca di velluto con polsini rossi, un gilet a righe e i capelli gli scendono sulla schiena, in stile francese post-rivoluzionario. Nella mano sinistra tiene la tavolozza dove si possono distinguere fino a dieci colori e vari pennelli, mentre con la destra impugna il pennello. Il ritratto è eseguito in controluce e l'artista ci guarda negli occhi con uno sguardo quasi di sfida. © Museo della Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid
El pelele, 1791-92.
El pelele, 1791-92. Quattro ragazze si stanno svagando in campagna: tengono un lenzuolo per i lembi e fanno balzare in aria a ripetizione un fantoccio di stoffa. Si trattava di un passatempo assai diffuso nell’aristocrazia del tempo, che veniva dalla tradizione carnevalesca spagnola. L’opera, destinata all’ufficio del re Carlo IV, potrebbe alludere satiricamente alla Fortuna, o nascondere un’allegoria delle donne che si burlavano degli uomini trattandoli come pupazzi, tema ripreso più volte da Goya nei Caprichos. Ma a fronte dell’allegria delle quattro fanciulle e dell’apparente lievità della situazione, il volto inespressivo e disossato del fantoccio comunica inquietudine e insicurezza, facendo affiorare il cinismo che nelle opere della maturità si farà estremo, a volte agghiacciante. © Museo Nacional del Prado, Madrid
Procesion de disciplinantes , 1810-1816.
Procésion de disciplinantes, 1810-1816. In questo dipinto vivido e cupissimo vediamo avanzare una processione di flagellanti che, con il volto coperto da un panno e un berretto conico in testa, si frustano disciplinatamente per fare penitenza, e impongono il passo alla folla ondeggiante dei fedeli inciampando, tra schizzi di sangue. Dietro di loro vengono portate le statue della Mater Dolorosa e di Gesù Crocifisso, che risplendono sinistramente quasi fossero idoli pagani, poi seguono stendardi, croci e lanterne accese… Il cielo è azzurro cupo e il corteo avanza verso la notte, metafora delle tenebre del pensiero, di quel "sonno della ragione che genera mostri". L'artista, infatti, in quest'opera vuole mostrare tutta l'arretratezza e la superstizione in cui viveva la Spagna all'inizio dell'Ottocento, a secolo dei Lumi da poco concluso. © Museo de la Real Accademia de Bellas  Artes de San Fernando, Madrid
La familla del Infante don Luis, 1783-1784
La familia del Infante don Luis, 1783-1784. Nell’estate del 1793 Goya fu invitato nella tenuta di Arenas San Pedro, dove il principe Luis di Borbone (fratello del re Carlo III), trascorreva i suoi ultimi anni. Durante il soggiorno, Goya realizzò una grande tela con Don Luis, la moglie, il figlio, la figlia e il ritratto di gruppo ebbe un successo insperato presso l’Infante. Goya dipinse il principe con la sua corte campagnola in modo intimo e informale: l’intera famiglia è riunita intorno a un  tavolo e con loro sono borghesi, ancelle, cicisbei, senza distinzione di rango. L’Infante è colto mentre gioca a carte, accanto alla moglie che ha già sciolto i capelli prima del saluto serale. E sull’estrema sinistra Goya ha rappresentato anche se stesso con i pennelli e la tela, mentre guarda la scena con partecipazione. © Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversetolo, Parma
Vuelo de brujas , 1798.

Vuelo de brujas, 1798. Tre personaggi in gonna, a torso nudo e con cappucci a forma di mitra decorati con serpentelli, tengono sollevato in aria un uomo nudo, esanime, abbandonato nelle loro braccia, e soffiano sul suo corpo. Nella parte inferiore del dipinto, due contadini hanno appena raggiunto la cima della montagna e si proteggono come possono dal malocchio. Uno, caduto a terra, copre le orecchie per non sentire il rumore agghiacciante degli esseri volanti. L'altro cammina con il capo coperto da un lenzuolo bianco per non vedere nulla delle stregonerie che gli volano sopra. Goya crea qui una scena di notte che sembra l'illustrazione di un racconto dell'orrore. La sua immaginazione plana ma attenzione, l'asino rimasto indietro per il grande pittore simboleggia l'ignoranza che devastava la sua Spagna.

© Museo Nacional del Prado, Madrid
Autorretrato, 1815 (Museo Nacional del Prado, Madrid)
Autorretrato, 1815. Il più emblematico autoritratto dell’artista, dipinto a 69 anni, in cui Goya rivela il suo aspetto più vulnerabile e fragile. Il viso è invecchiato, la pelle un po’ inflaccidita è quella di un uomo alle soglie della senilità, che si presenta con una veste di velluto rosso e la camicia aperta sul collo che si è fatto largo. Ma lo sguardo acuto e penetrante, l’intensa liquidità degli occhi aprono uno spiraglio sull’anima tormentata di Goya. E soprattutto l'Autoritratto del 1815 è un dipinto assolutamente moderno, in cui l’attenzione e la luce si concentrano solo sul volto: qualsiasi altro dettaglio è deliberatamente eliminato. E la ricerca di Goya è quella della dell’autenticità, senza retorica, compromessi e lusinghe. © Museo Nacional del Prado, Madrid
7 ottobre 2021 Irene Merli
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