È così necessario sapere davvero nome e cognome di Banksy, per apprezzare la sua arte? Probabilmente no, ma è proprio questo l'obiettivo di uno studio della Queen Mary University of London pubblicato la scorsa settimana sul Journal of Spatial Science.
I ricercatori hanno utilizzato la tecnica del "geographic profiling", un approccio investigativo impiegato nel campo della criminologia, per tentare di smascherare l'identità dell'artista.
Ci sono riusciti? Non in modo definitivo. Ma il metodo utilizzato potrebbe rivelarsi utile per stringere il cerchio attorno a "ricercati" ben diversi, per esempio sospetti terroristi nascosti nelle città europee.
Luoghi familiari. Il team ha selezionato 140 graffiti attribuibili a Banksy realizzati a Londra e Bristol. Incrociando i dati relativi alla loro posizione, gli scienziati sono riusciti a risalire ad alcuni "hotspot" significativi, punti in cui il writer presumibilmente transita spesso come un pub, un campo da calcio, l'indirizzo di un'abitazione di Bristol e tre diversi civici londinesi. Gli indizi porterebbero al nome di Robin Gunningham, un artista già associato a Banksy dal tabloid Mail on Sunday nel 2008.
Tracce sparse. «La nostra analisi evidenzia alcune aree associate a un candidato principale» si legge nell'articolo. «Più in generale, questi risultati suggeriscono che l'analisi di azioni minori riconducibili al terrorismo (per esempio alcuni tipi di graffiti) potrebbe essere utilizzata per individuare i covi del terroristi prima che si verifichino incidenti più gravi».
Privacy. Insomma Banksy è stato usato come "pretesto" per provare la validità di un modello statistico su problemi reali. Ma lo studio presenta diverse criticità: poiché Banksy agisce in modo anonimo, non è detto che tutte le opere analizzate siano state eseguite dalla sua mano. Ci sono poi evidenti problemi di privacy, tanto che gli avvocati del writer si sono interessati delle modalità con cui lo studio sarebbe stato presentato alla stampa, ritardandone l'uscita di qualche giorno.