Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio (29 settembre 1571 - 18 luglio 1610), è riconosciuto come uno dei pittori italiani più celebri di tutti i tempi, eppure la sua fama iniziò a scemare già dopo la sua morte. E con il passare del tempo, la sua arte rivoluzionaria fu ignorata per più di due secoli: un autentico oblìo dalla fine del Seicento al Novecento inoltrato. A risuscitarlo, negli anni Cinquanta del secolo scorso, è stato un leggendario storico dell'arte italiano, Roberto Longhi, aprendogli la strada di un nuovo e indiscutibile trionfo. Ma come è potuto accadere che un grande artista come lui finisse dimenticato?


Forse Caravaggio era nato sotto una cattiva stella. Perché ebbe la "ventura" di raggiungere il successo all'inizio del Seicento, un secolo mal giudicato dai posteri. Una sorta di buco nero tra la gloria del Rinascimento, il tempo dei Lumi e la lunga stagione del Neoclassicismo, che celebrava l'antichità greco-romana. «Secondo la storiografia dell'inizio del XX secolo, il Merisi è stato uno dei protagonisti esemplari di un periodo segnato dall'oppressione politica e dal trionfo della Chiesa controriformata», spiega Francesca Cappelletti, docente di Storia dell'arte moderna all'Università di Ferrara e autrice di Caravaggio. Un ritratto somigliante (Electa).
un secolo buio. In effetti, nel Seicento, gran parte dell'Italia era scaduta a colonia spagnola, proprio quando Madrid era seconda solo alla Roma di Sisto V nella foga di correggere coscienze religiose ed esercitare il brutto vizio degli abusi di potere. Il rivoluzionario pittore lombardo, con i suoi quadri scuri, drammatici e la sua vita violenta, rappresentò così bene quel secolo di decadenza morale e storica da restare impigliato nel giudizio negativo su quell'epoca. E ne fu inevitabilmente danneggiato.


post mortem. A spingerlo nel dimenticatoio fino al Novecento ci si misero in molti, e ogni critica pungente contribuì a questa sorta di moderna damnatio memoriae. Già poco dopo la morte, avvenuta nell'estate del 1610, la sua fama era in ribasso: veniva considerato inferiore al coevo Annibale Carracci, artista bolognese all'epoca stimatissimo ma non certo un gigante come lui, e oggi poco conosciuto dal grande pubblico.


La vile, volgare umanità. Ma era solo l'inizio. Nicolas Poussin (1594-1665), artista che ai tempi di Luigi XIII andava per la maggiore sia a Parigi sia nella Roma dei Barberini, si spinse a dire che Caravaggio era venuto al mondo per distruggere la pittura. Affermazione esagerata? Agli occhi dei suoi detrattori il Merisi era capace di ritrarre soltanto i suoi simili (e cioè la "vile, volgare umanità"), mentre i veri artisti dipingevano historia, ovvero scene sacre o gesta di grandi uomini ed eroi.
Per di più, come scriveva Gian Pietro Bellori, storico dell'arte considerato quasi un Vasari del tardo Seicento, i suoi quadri erano "senza attione": poco movimentati, diremmo noi, senza un'azione degna di nota. Eppure, quante Giuditta e Oloferne saranno state dipinte prima di quella del genio milanese? Decine e decine. Ma solo la sua sembra l'istantanea di un delitto. E una volta vista non la si scorda più.


Nel Settecento, salvo rare eccezioni, si continuò sulla stessa linea. Un altro stimato biografo di artisti, Antonio Pellegrino Orlandi, definì il personalissimo uso del chiaroscuro dell'artista una "macchia furbesca". Insinuava, insomma, che si trattasse di una tecnica "veloce" che dava risultati di potente impatto senza richiedere mesi o anni di esercizio nel disegno e nella prospettiva, né di faticare davanti alle statue antiche e ai maestri del Rinascimento, come invece doveva fare ogni bravo pittore che rispettava la tradizione.
Ignorato da Goethe. E per capire lo scarso interesse per Caravaggio anche nell'Ottocento, bastano due esempi: un noto spogliatore di tesori altrui, Napoleone Bonaparte, nel suo ricco bottino di arte italiana non prese nulla del Merisi; e Goethe, nel celebre Viaggio in Italia (1816, 1817), l'opera che racconta il grand tour dello scrittore nel nostro Paese tra il 3 settembre 1786 e il 18 giugno 1788, non lo citò nemmeno.


Finalmente, nel XX secolo, a salvare Caravaggio dall'oblìo arrivarono gli studi di Roberto Longhi, storico dell'arte e vorace collezionista, che non solo nel 1920 scovò da un antiquario fiorentino un Fanciullo morso dal ramarro (1595 -1956): rilesse opere e vita del Merisi e fece piazza pulita dei pregiudizi.
Artista moderno. Individuò inoltre in lui il primo pittore dell'epoca moderna, umano, popolare. E, quando, nel 1951, riuscì a organizzare una memorabile mostra al Palazzo Reale di Milano, con un numero imponente di opere, giustizia fu fatta: Caravaggio e i caravaggeschi segnò l'inizio di un successo del rivoluzionario pittore, in Italia e fuori, che avrebbe stupito anche i suoi più grandi collezionisti del Seicento.
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