A partire da mercoledì 4 maggio, giorno della prima prova di italiano, circa due milioni e duecentomila studenti di tutta Italia saranno impegnati nelle prove Invalsi (qui un archivio con le prove degli anni passati). Il rito, da oltre dieci anni (dal 2009 nella forma attuale), si ripete puntualmente in questa stagione per gli alunni di seconda e quinta elementare, terza media e seconda superiore. Che cosa sono questi test? Che cosa misurano?
A che cosa servono? «Gli obiettivi sono essenzialmente due», risponde Paolo Mazzoli, direttore generale dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (Invalsi), Ente di ricerca che prepara e amministra le prove. «Innanzi tutto fornire alla cittadinanza e ai decisori politici i dati generali sul funzionamento della scuola, in particolare il grado di competenze raggiunto dagli studenti in due grandi aree: la comprensione di un testo e la padronanza della matematica in situazioni concrete. Il secondo obiettivo è quello di fornire alle scuole i dati elaborati, in modo che siano possibili valutazioni sul piano didattico, confronti e migliorie.»
Esprimono un giudizio sullo studente? Un fraintendimento che si crea a volte tra i genitori, complici anche le esercitazioni che molte insegnanti fanno svolgere in classe nei mesi precedenti e che magari valutano con voti, è che le prove costituiscano parte del giudizio sul singolo alunno. In realtà non è così: i risultati sono anonimi, e la valutazione riguarda l’istituto scolastico - la singola scuola e il circolo didattico - che può paragonare le sue performance con quelle di istituti dello stesso bacino socio-economico, della stessa area geografica o di aree diverse, e avere come riferimento i dati nazionali. Unica eccezione è la prova di terza media, che si svolge quest’anno il 17 giugno 2016: è l’unico caso in cui i risultati fanno media con le altre prove d’esame.
Sono “difficili”? In un certo senso sì, ma è proprio questo lo spirito della prova. Servono infatti principalmente a scandagliare le competenze degli alunni, da quelle più elementari alle più raffinate. «Per italiano, per esempio, si cerca di vedere se, di fronte a un testo impegnativo mai visto prima, un ragazzo riesce a mobilitare le sue capacità di comprensione sulla base delle esperienze di lettura fatte e delle discussioni in classe», spiega Mazzoli. Per la matematica avviene lo stesso: i test cercano di misurare quanto uno studente se la sa cavare di fronte a una situazione concreta, non troppo scolastica ma in cui un ragionamento di tipo matematico può essere utile.
Esercitarsi prima serve? Molti insegnanti iniziano mesi prima delle prove a far allenare gli alunni. E sono stati pubblicati libri che propongono esempi di esercizi a scelta multipla, in teoria utili all’allenamento. Ha senso sottoporre gli studenti a questi compiti? «Le esercitazioni servono per allenarsi al tipo di prova, nuovo per gli studenti. Se però vengono fatte ripetutamente, togliendo tempo alla didattica, allora non solo non servono ma sono controproducenti», risponde Mazzoli. Insomma, un conto è allenarsi a un tipo di esercizio inconsueto rispetto al programma, un altro proporre quiz su quiz che a volte neppure ricalcano lo spirito delle prove Invalsi perché sono solo ripetizioni di contenuti nozionistici. Il modo migliore per prepararsi alle prove (ma non solo) è insegnare il tipo di ragionamento necessario a rispondere correttamente. Cioè: insegnare a pensare.
Ci sarà in futuro una prova di scienze? Se ne parla, dato che in molti Paesi europei esiste già una prova che, negli anni equivalenti a quelli della nostra scuola primaria e secondaria di primo grado, testa la capacità di affrontare un problema con metodo “sperimentale”, ma per il momento non verrà introdotta. La difficoltà è elaborare e proporre prove in forma scritta su competenze che, invece, si dimostrano operando praticamente sulle cose e sui fatti della realtà. D’altra parte, anche la didattica a scuola per questa materia è spesso prevalentemente di tipo nozionistico.
Chi li prepara? A formulare i quesiti per le prove sono circa 200 autori, per la maggior parte docenti di scuola primaria e secondaria e alcuni professori universitari. Una quota del gruppo è costante, e un’altra cambia di anno in anno. Per diventare autori è necessario seguire un corso di formazione di una settimana. Una curiosità: ciascun singolo quesito di matematica viene pagato 10 euro.
Che cosa hanno a che fare le prove Invalsi con le valutazioni Ocse-Pisa di cui si legge sui giornali? Le prove Ocse-Pisa si rivolgono solo ai quindicenni: riguardano italiano, matematica, scienze e problem solving. Sono simili alle prove Invalsi, nel senso che sono standard e servono per misurare le competenze degli studenti indipendentemente dai programmi didattici adottati nei singoli Paesi o dalle singole scuole. La differenza è che le prove Pisa sono a campione, non riguardano tutti gli alunni di una nazione, mentre le Invalsi riguardano l’intera popolazione degli studenti. Inoltre, le prove Pisa non prevedono la restituzione dei risultati alle scuole come incentivo al miglioramento.