Scuola e Università

Giocare a casa con la matematica aiuta a scuola

Una delle prime ricerche a testare l'utilità di una app educativa specifica per l'apprendimento della matematica.

C’è qualcosa che i genitori possono fare per aiutare i figli ad andare meglio a scuola in matematica? Probabilmente sì, ma non quello che ci si aspetterebbe. Star loro addosso per i compiti non serve - anzi rischia di produrre l’effetto opposto, in particolare se papà o mamma sono poco a loro agio con i numeri. Mentre il rimedio potrebbe essere semplice: intrattenersi a giocare un po’ con loro con la matematica usando un tablet e una app.

Leggere e far di conto. Se è abbastanza ben presente alle famiglie l’importanza di leggere ai bambini fin da piccoli (anche se non sempre si traduce nella pratica) per contribuire allo sviluppo delle loro capacità linguistiche, ci sono meno indicazioni su come i genitori potrebbero dare una mano nella disciplina considerata ostica per eccellenza.

Compiti a casa, che stress!

Diverse ricerche dimostrano che, sebbene ci sia una componente ereditaria della cosiddetta “intelligenza matematica” e “spaziale”, anche gli input ricevuti nell’ambiente scolastico e a casa contano molto, e contribuiscono - in positivo o in negativo - al successo scolastico in questa disciplina.

Lo studio pubblicato su Science è uno dei primi esempi di un’attività casalinga testata sperimentalmente che sembra funzionare. La buona notizia è che anche al genitore più pigro non è richiesto uno sforzo eccessivo: perfino un’ora di gioco a settimana basterebbe a migliorare i risultati di un bambino che inizia la scuola elementare.

Matofobia. L’ansia di molti adulti nei confronti della matematica è un fatto assodato: è stato coniato anche il termine "matofobia" per descriverla. Gli autori dello studio, della University of Chicago, avevano già mostrato in uno ricerca precedente che facilmente i genitori la trasmettono ai figli, in particolare quando si intromettono aiutandoli nel fare i compiti.

Atteggiamenti e affermazioni del tipo “non ti preoccupare, anch’io non sono portato per la matematica” si possono trasmettere ai bambini, rinforzandoli nella credenza che sia una materia difficile, in cui “per natura” c’è chi va bene e chi male.

all'ora della nanna. Per il nuovo studio, i ricercatori hanno reclutato un campioni di quasi 600 famiglie, genitori e figli in prima elementare, in 22 scuole dell’area di Chicago. A un gruppo di loro, la maggioranza, è stato assegnato all’inizio dell’anno scolastico un iPad con una app di argomento matematico, chiamata Bedtime Math (matematica all’ora di dormire). A un altro gruppo è stata data un’applicazione educativa che non riguardava la matematica, ma la lettura e la comprensione di testi.

Le famiglie sono state poi lasciate libere di giocarci a piacimento durante l’anno scolastico, mentre i ricercatori avevano la possibilità di verificare la quantità di tempo da loro passata a usarla.

In rete c'è abbondanza di app e piccoli software ludico-didattici anche in italiano, come TuxMath, che propone livelli di difficoltà crescenti (dall'asilo alle superiori), e possono essere usati su computer anche senza installazione (vedi).

Basta poco. Risultato: tra i bambini che avevano usato con i genitori la app di argomento matematico, i risultati nella materia a scuola alla fine dell’anno scolastico sono stati nettamente migliori. Quando i genitori si sono intrattenuti con i figli per un tempo tutto sommato limitato, anche solo un’ora a settimana, a cercare di risolvere piccoli problemi sui numeri e le forme, la differenza a scuola si è vista.

Più è stato il tempo dedicato, più vistoso il progresso. E, a dimostrare che è proprio il ragionare insieme su argomenti di tipo numerico, e non il tempo genericamente passato con i genitori a fare qualcosa, i bambini con la app dedicata alla lettura non hanno avuto miglioramenti specifici in matematica. Questo strumento, secondo i ricercatori, potrebbe essere l’ideale proprio per i genitori più a disagio con la disciplina: un piccolo sforzo che ripaga con buoni risultati.

24 ottobre 2015 Chiara Palmerini
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