Nelle prossime due settimane olimpiche, fateci caso: probabilmente, al termine di una gara, maschi e femmine si avvicineranno agli avversari in modo diverso.
Dopo un match gli uomini investono più tempo rispetto alle donne nel riavvicinarsi al rivale, assicurandosi che l'aggressività che aveva guidato il conflitto finisca sul campo da gioco. È quanto sostiene uno studio appena pubblicato su Current Biology.
Doppio fronte. Joyce Benenson, psicologa dell'Emanuel College e dell'università di Harvard, si è interessata alla questione dopo anni passati a chiedersi come facciano gli uomini a misurarsi in conflitti tra gruppi (per esempio in ambito lavorativo) e allo stesso tempo mantenere la rivalità all'interno della propria cerchia sociale.
Finiamola qui. Studi su scimpanzé dimostrano che i maschi riescono, meglio delle femmine, ad appianare i conflitti con i propri pari, riuscendo così a cooperare con essi contro le comunità di scimmie rivali. Che funzioni così anche per gli uomini? Benenson ha deciso di usare lo sport come banco di prova.
Ha esaminato decine di filmati di competizioni ad alto livello di tennis, ping pong, badminton e boxe tra atleti di 44 Paesi, senza concentrarsi sull'esito del match ma osservando che cosa accadeva al termine.
Nemici-amici. Si è così accorta che gli uomini trascorrono molto più tempo delle donne a riappacificarsi con l'avversario, un comportamento compatibile con "l'ipotesi del guerriero": quella secondo cui questo riavvicinamento è conveniente, per poter poi fronteggiare insieme minacce più gravi.
Solidarietà femminile? «Le donne tradizionalmente hanno cooperato più facilmente con elementi interni alla propria famiglia e con una o due amiche trattate come parenti», afferma la Benenson. Per loro potrebbe essere meno semplice risolvere i conflitti, e non solo in ambito sportivo: gelosie e rivalità potrebbero trascinarsi più a lungo anche sul lavoro.