Psicologia

Troppa concentrazione, distrae: ecco perché

Strano, ma vero: anche solo aspettarsi un elemento di distrazione mentre siamo impegnati in un compito influisce negativamente sulle nostre performance.

Siete immersi nella lettura di un romanzo, ma aspettate una telefonata: quella chiamata potrebbe non arrivare, ma anche solo sapere che il telefono potrebbe squillare può farvi perdere qualche passaggio della storia e costringervi a rileggere più volte la stessa riga.

Essere molto concentrati su un compito cercando di non farsi distrarre da uno stimolo che potrebbe sopraggiungere... finisce per farci perdere la concentrazione: il curioso effetto indesiderato era stato evidenziato da una ricerca condotta nel 2012 da Francesco Marini e Angelo Maravita (Dip. di psicologia dell'Università di Milano-Bicocca) e Leonardo Chelazzi (Università di Verona).

IN SINTESI

# Se siamo impegnati in un'attività che richiede concentrazione, ma sappiamo che verremo disturbati, le nostre performance si riducono;
# l'attività di filtro degli stimoli superflui è affidata a una centrale operativa nel cervello che coinvolge diverse aree cerebrali;
# questa operazione avviene senza che ce ne accorgiamo e potrebbe averci avvantaggiato nel corso dell'evoluzione.

Nelle nostre attività quotidiane siamo costantemente bombardati da "elementi di distrazione": le voci dei colleghi della sala accanto, il profumo che arriva da un ristorante, la vibrazione del cellulare quando arriva un WhatsApp... Ogni stimolo, mentre siamo impegnati in un'altra attività, è o può essere motivo di disturbo.

L'attenzione selettiva ci permette di selezionare che cosa in quel momento è rilevante da ciò che non lo è, ed escludendo il "distrattore" riusciamo a prestare attenzione al compito in cui siamo coinvolti. Questo meccanismo di filtraggio non si attiva soltanto in presenza di stimoli effettivi, ma anche in maniera preventiva, ossia quando si prevede che arriverà una distrazione.

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Curiosità: 15 modi scientifici per ritrovare la concentrazione. © Ryan Ritchie, Flickr

La ricerca citata aveva coinvolto 126 studenti con un'età media di 26 anni, sottoposti a una serie di test differenti in cui veniva misurata la velocità di reazione a uno stimolo tattile durante un compito che richiedeva concentrazione. In uno dei test, i volontari tenevano fra le dita di entrambe le mani due stimolatori tattili (vibratori) e, tramite una pedaliera, dovevano indicare di volta in volta su quale dito avessero percepito uno stimolo.

Prima del test erano stati avvertiti della possibile interferenza di stimoli esterni, di carattere visivo, tattile o uditivo, che tuttavia non sempre venivano attivati: in quest'ultimo caso un led si accendeva sporadicamente e a intermittenza, e gli studenti dovevano ignorarlo. L'obiettivo era quello di misurare il tempo di reazione, in millesimi di secondo, tra lo stimolo tattile e la "risposta" dei partecipanti.

L'eredità di un lontano passato

Francesco Marini - «Da un punto di vista evoluzionistico è un bene assoluto che l'attenzione venga "catturata" da stimoli improvvisi e diversi da quelli su cui siamo concentrati: è un "allarme" che ci riporta alla realtà di un fatto imprevisto, che può essere il rumore di una frana, l'ululato di un lupo, il rotolare dei pneumatici sull'asfalto... D'altra parte, se fossimo continuamente attirati da ogni stimolo, sarebbe impossibile concentrarsi su qualunque cosa: ecco perché ci viene in aiuto il meccanismo di filtraggio dei distrattori. Il fatto che la performance di ciò che stiamo facendo peggiori, se poi la distrazione non si verifica è una sorta di innocuo "effetto collaterale". In fondo la situazione non è molto diversa da quando minaccia pioggia e decidiamo di prendere l'ombrello: se pioverà, saremo preparati, e in caso contrario avremo pagato un piccolo "prezzo", la scomodità di portare in giro l'ombrello.»

Quello studio ha dimostrato che la sola aspettativa di una distrazione ha peggiorato le performance dei soggetti del 10% almeno: «I dati raccolti con questi test comportamentali suggeriscono che nel cervello è presente una sorta di "centrale operativa" deputata a prevenire l'interferenza di distrattori», spiega Francesco Marini: «La gestione dei distrattori è sovramodale, cioè si occupa di gestire stimolazioni rilevanti e irrilevanti provenienti dal tatto, dalla visione, e dall'udito».

Lo speciale "filtro", che opera senza che noi ce ne accorgiamo coinvolgendo più aree cerebrali, si attiva anche in maniera precauzionale, quando sappiamo, o siamo avvisati, del fatto che qualcosa potrà venire a disturbarci: «Questo rappresenta certamente un vantaggio», continua Marini, «perché quando i distrattori arrivano sono già preparato a escluderli.

Però, per attivare questo filtro la "centrale sovramodale" paga un costo, e se i distrattori attesi poi non arrivano, la nostra performance ne avrà risentito».

In prospettiva. La ricerca in questo ambito è adesso indirizzata a individuare quali siano le aree coinvolte in questa centrale sovramodale, un'informazione che potrebbe essere di grande aiuto nel trattamento di disturbi neuropsicologici generati dalla lesione di aree cerebrali.

Altre applicazioni potrebbero riguardare quelle professioni in cui sono richiesti alti livelli di attenzione - pensiamo ai piloti o ai controllori di volo - e in cui è necessario un grande investimento in concentrazione. Lo studio dell'attenzione è però da considerarsi "ricerca di base" sul funzionamento del sistema mente-cervello: alcune applicazioni possono essere più immediate di altre, ma, in generale, produrre conoscenza su come funziona il nostro cervello è un bene universale, che può portare a risultati finora inimmaginabili.

2 febbraio 2018 Elisabetta Intini
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