Per quanto diffusa e collaudata sia l'anestesia generale, i suoi effetti sulla coscienza non sono ancora del tutto chiari: l'amnesia che comporta rende difficile interpellare chi l'ha subita su esperienze e ricordi di quello stato. In un recente studio pubblicato sul British Journal of Anaesthesia, un gruppo di ricercatori ha simulato il processo in laboratorio, infondendo anestetici a gruppi di volontari e risvegliandoli in diversi momenti del sonno farmacologico.
Molti soggetti hanno avuto esperienze simili ai sogni - anche se i sogni veri e propri sono una prerogativa della fase REM del sonno. Non solo, il loro cervello ha anche processato alcune parole mentre erano sedati, operazione di cui, però, i volontari non avevano memoria. Da questi elementi si comprende, per i ricercatori, che l'anestesia non ha bisogno della totale perdita di coscienza per funzionare.
Addormentati. Katja Valli, neuroscienziata dell'Università di Skövde in Svezia, ha somministrato con i colleghi due diversi farmaci (il sedativo Dexmedetomidina e l'anestetico propofol) rispettivamente a due gruppi di 23 e 24 studenti, in due successivi passaggi. La prima dose ha causato la perdita di sensibilità agli stimoli esterni. I volontari sono stati poi svegliati dal torpore e invitati a raccontare la propria esperienza, rispondendo a una serie di domande mentre si trovavano ancora sotto l'effetto delle sostanze. In una seconda fase, la dose è stata aumentata del 50% (ma comunque tenuta al di sotto di quella usata per gli interventi chirurgici) per indurre la presunta perdita di coscienza.
Stato sospeso. Nel corso dell'esperimento, l'86% dei partecipanti ha riportato di aver sognato, anche se si è trattato di sogni generati internamente e disconnessi da esperienze "esterne", legate all'ambiente della sala operatoria. Il 42% di chi aveva ricevuto il primo farmaco e il 15% di chi aveva in corpo il secondo ha riferito inoltre di avere il vago ricordo di uno stimolo sonoro che gli sperimentatori avevano prodotto apposta (anche se nessuno lo ha ricordato spontaneamente).
Confini sfumati. Proprio questa disconnessione è forse la chiave del funzionamento dell'anestesia, più simile a una progressiva perdita (allontanamento) del sé che a un totale e temporaneo "buio". «La coscienza non è un fenomeno binario e ci sono sempre più prove del fatto che i farmaci per l'anestesia generale interrompono alcuni meccanismi cerebrali molto specifici coinvolti nella percezione, nella memoria e nella ricettività» spiega al New Scientist Jamie Sleigh, anestesiologo dell'Università di Auckland, Nuova Zelanda.
Allo stesso tempo, il temporaneo scollamento dal sé è garanzia della totale assenza di percezione del proprio corpo e dell'ambiente operatorio, della non esperienza del dolore né di quanto sta avvenendo attorno.