L’anno scorso un ragazzo di 21 anni si è rivolto disperato agli psichiatri del Central Institute di Kanke nel Jharkland indiano: da 5 anni gli frullava in testa l’intera colonna sonora di un film hindi, quasi 3 minuti di musica con fino a 35 replay al giorno. Un caso che si è rivelato persino resistente ai farmaci. Fortunatamente il suo è un caso estremo, di solito non è necessario ricorrere alla chimica: il tarlo dell’orecchio, o öhrwurm (così lo chiamarono i ricercatori tedeschi a fine ’800, o earworm per gli inglesi), è molto comune.
Ma che cos’è? Perché si “appiccica”? Come farlo sloggiare?
Affari di cervello. Tanto per cominciare l’orecchio c’entra poco: si tratta di “parassiti” musicali del cervello: nel 1987 una rivista li definì “agenti musicali cognitivamente infettivi”; successivamente furono rinominati Mir o Musical imagery repetition cioè “Ripetizione di immagini musicali”.
Il fenomeno è comune: il 98,2% delle persone sa di cosa si tratta. Lo ha rilevato 8 anni fa un giovane studente di Cambridge, Sean Bennett, intervistando per mail 4 mila persone di 52 nazioni diverse di età compresa fra 17 e 71 anni. Più esposti sono i giovani che ascoltano molta musica, con particolare incidenza fra i mancini.
Gli studi finora condotti hanno dimostrato grandi differenze individuali: per alcuni è un occasionale, piacevole sottofondo musicale che tiene compagnia; per altri un fastidioso ritornello di cui non riescono a liberarsi; solo per pochi, il 10% della popolazione, il ritornello diventa un’ossessione fastidiosa. Sono questi ultimi i casi in cui gli earworm diventano sintomi, insieme ad altri, di una patologia ossessivo-compulsiva.
Inconscio. Sul perché si installino nell’orecchio ci sono solo ipotesi. Lo psicanalista viennese Theodor Reik, stretto collaboratore di Freud, scrisse per esempio che “Le melodie che scorrono nella mente … possono fornire all’analista un indizio [per giungere] alla segreta vita emotiva di ciascuno di noi”. Altri, come Daniel Levitin, neuroscienziato e musicofilo, si sono concentrati sulle caratteristiche dei tarli scoprendo che sono spezzoni molto brevi, di 15-30 secondi. E James Kellarsi, docente di marketing all’University of Cincinnati, ha individuato le caratteristiche intrinseche del brano musicale:
1. ripetitività di certe strutture musicali, come per esempio i ritornelli, ma anche
2. semplicità musicale,
3. incongruità tra testo e musica o
4. tra ritmo e metrica.
Chi si occupa di marketing studia infatti le caratteristiche comuni dei tarli per trasmettere memi (concetti che funzionano come infezioni) per vendere, come faceva negli anni ’60 la pubblicità della Dufour (guarda il Carosello). Altri ricercatori si sono concentrati sulle ansie e le nevrosi individuali. E altri ancora accusano l’ambiente: per Oliver Sacks una causa è “l’onnipresenza di motivi fastidiosamente orecchiabili: melodie facili, magari nient’altro che motivetti per la pubblicità di un dentifricio, ma assolutamente irresistibili dal punto di vista neurologico”.
Strumento mnemonico. Bennett però ha avanzato un’ipotesi affascinante, che spiegherebbe l’universalità del fenomeno: i tarli sarebbero sistemi di consolidamento mnemonico, fenomeni di un nuovo tipo di memoria, che chiama audio-eidetica, in cui la musica aiuta a ricordare le parole o gli avvenimenti cui è legato quel brano.
Se Bennett avesse ragione, i tarli dovrebbero essere benvenuti perché fanno riemergere i ricordi cui sono legati.
Twitta che non ti passa. Questo spiega anche perché siano legati prevalentemente alla cultura di massa: musica pop, pubblicità, colonne sonore di film e videogiochi, sigle di programmi tv. Ma anche, e lo dimostra una veloce ricerca alla voce earworms su Twitter, brani di musica classica e operistica, perché il tarlo è frutto della propria esperienza musicale.
David Kraemer, specializzando in scienze cognitive del Dartmouth College nel New Hampshire, usando la risonanza magnetica ha infatti dimostrato che l’iPod del cervello è nella corteccia uditiva, che registra e conserva le nostre memorie uditive. Ed è la corteccia uditiva che decide quale tarlo “trasmettere”. Forse alcuni tarli sono più presenti di altri. Questo infatti sostiene la statistica dei 10 brani più ascoltati negli Stati Uniti (vedi classifica relativa al 2010 a fine pagina) stilata dal Brams (laboratorio di ricerca sulla musica) della canadese Université de Montréal; ma altri studi dimostrano che ci sono poche sovrapposizioni, come se ogni cervello avesse una sua predisposizione.
Funzione “cancella”. Come impostare la funzione “cancella” se il proprio tarlo si fa fastidioso? Sembra essere inefficace la strategia di focalizzare l’attenzione su compiti diversi. E cercare attivamente di dimenticare il ritornello rende il tarlo ancora più persistente per le caratteristiche stesse della memoria: se si legge “non pensare all’elefante rosa” diventa impossibile non pensare a un elefante rosa. Diana Deutsch, ordinario di psicologia all’University of California a San Diego, sostiene che, quando i tarli si fanno fastidiosi, riflettono dei retropensieri, una sorta di post-it che invita a ricordare: spariscono quando si trova il legame.
i 10 tarli più diffusi negli USA nel 2010
Village People
YMCA