Come avremmo combattuto il tedio da autoisolamento, da lockdown, un secolo fa, senza Internet né piattaforme in streaming? Un indizio arriva dai diari degli esploratori che per primi affrontarono uno dei luoghi ancora oggi più remoti e deserti della Terra: l'Antartide. Chi seppe resistere all'isolamento, alla noia, al freddo, alla fame e a lunghi mesi di oscurità, ci riuscì facendo appello a ogni possibile risorsa cognitiva, come si legge in un articolo pubblicato su The Conversation. Ecco alcune delle armi che questi pionieri utilizzarono.
Musica. La Scottish National Antarctic Expedition (1902-04), la prima spedizione a stabilire una stazione meteorologica abitabile nel continente ghiacciato, fu accompagnata dalle note di una cornamusa: lo strumento era incluso nell'equipaggiamento ufficiale. Nel 1934, quando l'ammiraglio statunitense Richard E. Byrd trascorse cinque mesi da solo nella base antartica Advance Base, si portò dietro un fonografo (un antenato del grammofono) e definì la musica "l'unico vero lusso" di quel soggiorno. E quando Ernest Shackleton dovette abbandonare con i suoi umini la nave Endurance rimasta bloccata nei ghiacci galleggianti del Mare di Weddell, insistette affinché Leonard Hussey, uno degli uomini del suo equipaggio, portasse a terra anche il suo banjo, ben più pesante del chilo scarso di materiale che a ciascuno era stato concesso di sbarcare. Quello strumento sarebbe stata «una medicina vitale» per le settimane successive, e Shackleton seppe prevederlo.
Studio e lettura. Sentiamo spesso ripetere che la quarantena è il periodo ideale per imparare una nuova lingua. L'esploratore norvegese Roald Amundsen, a capo della spedizione antartica Fram (1910-1912: la prima a raggiungere il Polo Sud geografico), decise di studiare il russo: la difficoltà della grammatica della nuova lingua fece sì che non esaurisse le pagine del suo libro troppo velocemente. L'Endurance di Shackleton aveva a bordo una piccola biblioteca con poesie, opere teatrali, racconti di viaggio, l'Enciclopedia Britannica e alcuni racconti. Quando fu costretto ad abbandonare la nave, Shackleton portò con sé una poesia di Rudyard Kipling su una pagina strappata.
Diari di bordo e giornali di viaggio. Il primo è un racconto più personale e introspettivo, per fatto per sfogarsi, lasciare un ricordo ai parenti distanti o assicurarsi una rendita a fine spedizione; il secondo, è l'equivalente delle foto con il cellulare: una cronaca degli eventi più curiosi avvenuti durante la giornata, del meteo o delle visite di animali all'accampamento, un'esposizione dei risultati scientifici interrotta da cruciverba e battute grasse.
Nelle spedizioni antartiche ci sono entrambe questi "generi letterari": la scrittura aiuta a vedere ogni giorno nella sua originalità, interrompendo la monotonia di giornate tutte uguali.
Carte e scacchi. Sono i giochi più facili da trasportare e i più frequenti nelle spedizioni polari di inizio secolo. L'esploratore britannico Robert Falcon Scott, durante la spedizione antartica Terra Nova (1910-1913) che gli fu fatale, scriveva: «Il nostro gioco più popolare per la ricreazione serale sono gli scacchi; ormai ci sono così tanti giocatori che due set di pezzi non bastano».
Cibo e alcol. Per quanto riguarda il primo, le privazioni sopportate dagli esploratori polari andavano ben oltre l'odierna carenza di lievito: il rancio era a base di carne e grasso in scatola e cereali, alternati a carne di foca o di pinguino. Per questo motivo, le conversazioni vertevano insistentemente su cosa si sarebbe cucinato una volta tornati a casa. Sull'alcol non tutti avevano le stesse vedute. Per alcuni, il rischio di avere uomini ubriachi nell'ambiente più ostile alla vita era eccessivo. Non la pensava così Amundsen, primo uomo a raggiungere il Polo Sud, che vedeva nel vino o nei liquori bevuti con moderazione una vera e propria medicina per la solitudine polare, e anche uno strumento per sanare gli screzi tra i suoi uomini.