Perché certi problemi sociali sembrano irrisolvibili? Perché il mondo sembra andare sempre peggio nonostante, di fatto, in tanti settori, dalla povertà alla violenza, dall’istruzione alla salute, le cose siano migliorate rispetto al passato? A farci vedere la realtà con le lenti cupe del pessimismo potrebbe essere anche il modo di funzionare del nostro cervello.
Una ricerca guidata da psicologi dell’Università di Harvard, pubblicata su Science, ha approfondito lo studio del modo in cui le nostre valutazioni, dalle più elementari alle più complesse, possono essere falsate senza che minimamente ce ne accorgiamo.
Viola o blu? I ricercatori sono partiti da qualcosa di molto semplice, e su cui apparentemente non c’è un grande margine di discussione: i colori. Hanno mostrato a un gruppo di persone un migliaio di pallini colorati su uno schermo, con gradazioni che andavano dal viola scuro al blu scuro, di cui i partecipanti dovevano definire il colore.
Dopo un po’, per un gruppo di partecipanti all’esperimento la quantità di pallini blu è stata diminuita, mentre per l'altro è rimasta identica. Nonostante ciò, anche le persone del primo gruppo hanno continuato a stimare lo stesso numero di pallini blu. Identica reazione si è avuta quando i ricercatori hanno avvertito espressamente che i pallini blu sarebbero diminuiti, quando la diminuzione è avvenuta gradualmente, quando è stata rapida, e perfino quando alle persone è stato detto che avrebbero ricevuto una ricompensa se avessero detto di vedere meno pallini blu.
Che cosa è successo? In pratica, come hanno mostrato i ricercatori, quando la quantità di pallini blu è scemata, le persone hanno finito per allargare il loro concetto di “blu” fino a includere pallini che in precedenza avevano definito viola.
Brutte facce in circolazione. In prove successive, gli psicologi hanno testato quanto questa tendenza resistesse in situazioni più complesse. Hanno mostrato ai partecipanti una serie di 800 volti umani generati al computer, con un aspetto da molto a poco o per niente minaccioso, e hanno chiesto loro di classificare le facce.
Poi, come per i pallini, per un gruppo di volontari hanno diminuito la quantità di facce minacciose, mentre per l’altro l’hanno lasciata costante. Anche in questo caso, coloro a cui erano stati mostrati meno volti aggressivi hanno continuato a vederne lo stesso numero degli altri. Come per i colori, hanno espanso il concetto di “volto aggressivo” fino a comprendere visi che in precedenza avevano giudicato non particolarmente minacciosi. Lo stesso è avvenuto in un test in cui i partecipanti dovevano giudicare se una proposta di sperimentazione scientifica fosse più o meno corretta da un punto di vista etico.
Idee sbagliate, ma resistenti. In generale, dicono gli autori, un concetto - che riguardi percezioni semplici oppure valori morali - tende a espandersi quando la frequenza dei casi diminuisce. Così, quando i pallini blu diventano rari, quelli viola cominciano ad apparire blu; quando le "facce brutte" diminuiscono, quelle neutre iniziano a sembrare più aggressive; e quando le proposte davvero impresentabili da un punto di vista etico scarseggiano, anche quelle più ambigue vengono giudicate immorali.
Se è così che funzioniamo, sembra non esserci soluzione. Essere però consapevoli di questo “difetto” di percezione può almeno aiutarci a considerare con maggiore scrupolo tante valutazioni apparentemente al di là ogni dubbio.