Senza le giuste ore di riposo notturno la nostra capacità di ricordare farebbe acqua da tutte le parti. L'importanza del sonno per la memoria degli adulti è stata dimostrata da moltissimi studi scientifici, ma assai meno chiaro è il ruolo che le ore di sonno hanno per bambini e neonati, apprendisti della vita. Se il cervello dei più piccoli è come una spugna che assorbe ogni informazione possibile sul mondo, per quale ragione un neonato trascorre anche 16-18 ore al giorno dormendo?
L'interessante questione è affrontata in un articolo pubblicato su Knowable, che fotografa un aspetto in particolare del riposo dei bambini: i pisolini. Gli ultimi studi a riguardo chiariscono che i riposini diurni sono fondamentali per la capacità dei piccoli di imparare, eppure la maggior parte dei bimbi smette naturalmente di farli tra i 3 e i 5 anni di età. Come mai, se sono così importanti?
Trasformazione continua. Il sonno dei bambini cambia radicalmente nei primi mesi di vita: i neonati dormono per il 70% del tempo e senza orari precisi, ma attorno ai sei mesi il loro orologio biologico si sincronizza con l'alternanza giorno-notte e i riposini si fanno più regolari. Entro i 12 mesi i bambini imparano a dormire soprattutto di notte con un paio di pisolini diurni. A due anni la maggior parte dei bambini fa una sola siesta quotidiana. A prescindere dal tempo dedicatole, questa attività sembrerebbe indispensabile per le prime forme di apprendimento linguistico.
Questa la so: non mi freghi! Manuela Friedrich, neuroscienziata della Humboldt University di Berlino, ha mostrato a 90 bambini dai 9 ai 16 mesi di età una serie di immagini di oggetti a loro sconosciuti associati a parole inventate, che non potevano aver sentito prima. Un paio d'ore più tardi ha proposto loro le stesse figure abbinate o alla parola che avevano già ascoltato, o a un altro termine completamente nuovo. In entrambi i casi l'attività elettrica del cervello dei bambini è stata monitorata con l'elettroencefalogramma (EEG).
Siccome a quell'età è difficile che un bambino sappia già ripetere una parola nuova, si è ricorso a uno stratagemma. Si sa che certi segnali sull'EEG (la registrazione non invasiva dell'attività elettrica dell'encefalo fatta con elettrodi esterni) appaiono se si percepisce qualcosa di inaspettato: quando quel segnale è comparso sul tracciato significava che il bambino aveva colto un'associazione sbagliata e che quindi aveva imparato l'abbinamento oggetto-parola iniziale.
Chi dorme... impara. I bambini che tra un test e l'altro avevano dormito, mostravano di aver imparato le associazioni proposte. Quelli che non avevano sonnecchiato, no. Non solo: i primi sembravano riuscire a raggruppare gli oggetti in categorie, perché quando vedevano oggetti simili a quelli già osservati l'attività elettrica del loro cervello sembrava anticipare la parola corrispondente.
Questa capacità di generalizzazione era accompagnata dalla presenza, nell'EEG, dei cosiddetti "fusi del sonno", rapide raffiche di attività cerebrale che annunciano il passaggio dall'addormentamento al sonno più profondo. I fusi del sonno sono spesso associati alle onde lente, ampie e regolari del sonno di stadio 3, quello che negli adulti serve a consolidare i ricordi appresi di giorno. A differenza degli adulti però, i bambini sperimentano molte più onde lente durante i pisolini diurni.
Le basi della grammatica. Insomma, l'età in cui si pisola di più è quella in cui si devono immagazzinare vaste quantità di informazioni importanti. Non solo le parole ma anche il loro ordine: un gruppo di neuroscienziati dell'Università dell'Arizona a Tucson ha fatto ascoltare a 48 bambini di 15 mesi alcune frasi di un linguaggio inventato (come "vot wadim jic" o "vot kicey jic") mentre giocavano nelle loro case. Poi alcuni hanno fatto un pisolino e altri no. Più tardi, in laboratorio, i piccoli che avevano riposato sono stati più abili degli altri nell'afferrare gli schemi ricorrenti delle frasi ascoltate e applicarli a nuove frasi. Dal livello di attenzione dimostrato, si è visto che sembravano per esempio aver capito che, nell'esperimento, la prima parola della frase determinava la terza.
Secondo gli scienziati è il primo passo per la comprensione della grammatica: dormire aiuta i bambini a estrapolare il senso generale delle esperienze che vivono ed applicarlo a situazioni nuove.
Dopo un po', non serve più. Nei bambini un po' più grandi, dai tre ai sei anni di età, i sonnellini diurni servono a rafforzare abilità cognitive anche diverse dal linguaggio. Aiutano per esempio a ricordare più accuratamente l'ordine degli eventi in una storia, subito dopo averla sentita ma anche a distanza di un giorno.
Perché allora, proprio in questa fascia di età si perde l'abitudine di riposare di giorno? La risposta sembra coinvolgere una piccola struttura cerebrale a forma di cavalluccio marino fondamentale per l'apprendimento: l'ippocampo. Sarebbe proprio lo sviluppo dell'ippocampo a determinare quando il bambino non sente più la necessità di sonnellini diurni.
Riempi e svuota. Le ricerche di Rebecca Spencer, neuroscienziata cognitiva dell'Università del Massachusetts Amherst, e Tracy Riggins, collega dell'Università del Maryland di College Park, mostrano che l'ippocampo è simile a un magazzino temporaneo in cui stipare i ricordi appresi durante il giorno. Quando dormiamo, queste tracce vengono spostate nella corteccia cerebrale dove si consolidano e rimangono a lungo.
Immaginiamo l'ippocampo come un cestino che si espande con la crescita. Nei neonati è molto piccolo e va svuotato spesso; con il passare dell'età, può "contenere" più ricordi senza dover essere continuamente ripulito. Questa teoria, che andrà confermata con nuovi studi, potrebbe spiegare come mai il bisogno di pisolare nei bambini diminuisca crescendo. Ma anche altre regioni cerebrali potrebbero essere coinvolte in questa importante transizione.