Psicologia

Perché proviamo disgusto?

Questa emozione primaria ci tiene lontani da sostanze e cibi che possono nuocere alla nostra salute, oltre che da situazioni e persone che potrebbero rivelarsi pericolose.

Apriamo il frigorifero alla ricer­ca di qualcosa di buono da mangiare, ma appena lo spor­tello si spalanca un odore ri­voltante ci investe e per tutta risposta la bocca tira gli angoli verso il basso. Indi­viduata la causa della puzza nauseabon­da, un pezzo di formaggio verdognolo e ricoperto di muffa, dimenticato dietro alle uova, la nostra fronte si riempie di rughe e il naso si arriccia. Tenendo il braccio ben disteso, afferriamo tra il pollice e l’indice il cibo andato a male e, con la faccia sempre più contorta dalla repulsione, lo buttiamo nell’umido, con l’appetito rovinato e con un leggero sen­so di nausea, se non addirittura con un conato di vomito.

Questo, più o meno, è ciò che accade al viso e al nostro corpo quando incappia­mo in qualcosa che ci ripugna: proviamo disgusto, una delle emozioni primarie al pari della paura, della tristezza, della gio­ia, della rabbia e della sorpresa. Solita­mente, a scatenarlo sono sapori rivol­tanti, ma anche annusando, toccando e guardando si può essere colti da questa reazione. Ma a cosa serve?

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Insetti a pranzo? Per le popolazioni dei Paesi occidentali è un’idea rivoltante, per altre è normale. © Shutterstock

Segnale di pericolo. «Il disgusto ha avuto un’importante funzione evoluti­va», spiega Francesco Mancini, docente di psicologia clinica presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma. «È un meccanismo biologico che ci protegge dall’ingestione di sostan­ze tossiche e dannose, e si è evoluto nei nostri antenati proprio come strumento di difesa da malattie e infezioni.» Infatti, scorrazzare per la savana mettendosi in bocca o toccando ogni cosa sarebbe stato oltremodo pericoloso, senza quel cam­panello d’allarme che ci fa allontanare da un odore sgradevole, ci induce a sputare un alimento ripugnante o ci mette in fuga da ciò che ci appare repellente.

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Il muco è una delle cosiddette “schifezze universali”. © Shutterstock

Uguale per tutti? Secondo Paul Rozin, docente di psicologia all’Università della Pennsylvania (Usa), tutti, indistintamente, siamo disgustati da feci, urina, sangue, muco, saliva, vomito, ferite purulente, parti di corpo, cadaveri, viscere e animali portatori di malattie, come insetti e topi.

Tuttavia, al di là delle schifezze universali, ciascun popolo e Paese ha gusti e disgusti tutti suoi, che dipendono dalla storia, dall’ambiente e dal contesto culturale. «Ogni popolazione ha “eletto” le proprie sostanze ripugnanti, soprattutto nell’alimentazione », prosegue Francesco Mancini. «Per noi occidentali, per esempio, è oggi rivoltante anche solo immaginare di mangiare insetti, mentre per le popolazioni asiatiche e africane è un costume normale.» Ana­logamente, per i musulmani è disgustoso nutrirsi di maiale e per gli indù di bovini.

Lo schifo morale. «Ma l’emozione del disgusto è suscitata anche da comporta­menti, azioni e persone che agiscono in modo che riteniamo corrotto e che met­tono in pericolo l’integrità sociale», prosegue Mancini. «Infatti, con lo struttu­rarsi dell’umanità, il disgusto di base si è evoluto anche in disgusto morale. Da­vanti a due camicie, entrambe lavate e stirate, ma appartenute una a un impie­gato di banca padre di famiglia e l’altra a un pedofilo che sconta la pena in galera, sceglieremmo sicuramente di mettere quella dell’uomo “pulito”. Indossare la camicia del pedofilo ci causerebbe infat­ti un disgusto morale.»

Questo articolo è tratto da un recente numero di Focus Extra. Scopri invece che cosa trovi nell'ultimo numero in edicola in queste settimane . © Focus EXTRA

Davanti a un cumulo di sporcizia nause­abonda e a una persona che ha commes­so un delitto efferato il nostro viso assu­me la stessa espressione di ribrezzo. E il disgusto è così potente che persino og­getti puliti, ma associati all’idea di sporco, bastano a scatenarlo.

Si spiega così quanto accaduto diversi anni fa in alcuni ospedali pediatrici statunitensi. Alle di­rezioni era stato segnalato che gli infer­mieri bevevano i succhi di frutta destina­ti ai bambini, che restavano così a bocca asciutta. «Il problema fu risolto sosti­tuendo i normali bicchieri con conteni­tori simili a quelli usati per la raccolta di urina», racconta Mancini. I bambini non ci fecero caso; ma gli infermieri, abituati a utilizzarli per tutt’altro scopo, non li usarono più per bere.

Contagioso! Che cosa accade nel cervello quando siamo disgustati? La re­gione più coinvolta è l’insula, una por­zione della corteccia cerebrale. Se un incidente o una malattia la danneggiano, l’avversione per cibi che prima si ritene­vano immangiabili scompare, e diventa difficile anche riconoscere le espressio­ni facciali tipiche di questa emozione.

Studi di neuroimaging hanno anche di­mostrato che il disgusto è contagioso. In uno di questi, pubblicato su Neuron e condotto all’Istituto di neuropsicologia di Marsiglia (Francia), ad alcuni volonta­ri è stato fatto annusare un liquido male­odorante, mentre altre persone li guar­davano. L’attività cerebrale di queste ultime, così come l’espressione che assu­meva il volto, ricalcavano quelle tipiche di chi è disgustato.

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Le donne sono generalmente più inclini al disgusto degli uomini. Forse per proteggere dai pericoli anche i figli, oltre a se stesse. © Shutterstock

Donne più schizzinose. La propen­sione a provare ripugnanza è tuttavia un tratto individuale. «Non siamo tutti sen­sibili nello stesso modo», precisa Manci­ni. «Le donne, per esempio, sono più in­clini al disgusto, forse perché questa emozione protegge non solo loro stesse, ma anche la prole.

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Secondo Daniel Fessler, antropologo evoluzionista all’Università della Cali­fornia di Los Angeles (Usa), anche le nausee tipiche dei primi tre mesi di gra­vidanza hanno una funzione protettiva: in questo periodo, infatti, il sistema im­munitario delle donne è meno efficace, e stare lontano da ciò che può causare ma­lattie, a se stesse oppure al feto, è quindi più importante.

Articolo elaborato sulla base di un lavoro di Paola Grimaldi, su Focus EXTRA 76.

17 settembre 2018 Focus Extra
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