Apriamo il frigorifero alla ricerca di qualcosa di buono da mangiare, ma appena lo sportello si spalanca un odore rivoltante ci investe e per tutta risposta la bocca tira gli angoli verso il basso. Individuata la causa della puzza nauseabonda, un pezzo di formaggio verdognolo e ricoperto di muffa, dimenticato dietro alle uova, la nostra fronte si riempie di rughe e il naso si arriccia. Tenendo il braccio ben disteso, afferriamo tra il pollice e l’indice il cibo andato a male e, con la faccia sempre più contorta dalla repulsione, lo buttiamo nell’umido, con l’appetito rovinato e con un leggero senso di nausea, se non addirittura con un conato di vomito.
Questo, più o meno, è ciò che accade al viso e al nostro corpo quando incappiamo in qualcosa che ci ripugna: proviamo disgusto, una delle emozioni primarie al pari della paura, della tristezza, della gioia, della rabbia e della sorpresa. Solitamente, a scatenarlo sono sapori rivoltanti, ma anche annusando, toccando e guardando si può essere colti da questa reazione. Ma a cosa serve?
Segnale di pericolo. «Il disgusto ha avuto un’importante funzione evolutiva», spiega Francesco Mancini, docente di psicologia clinica presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma. «È un meccanismo biologico che ci protegge dall’ingestione di sostanze tossiche e dannose, e si è evoluto nei nostri antenati proprio come strumento di difesa da malattie e infezioni.» Infatti, scorrazzare per la savana mettendosi in bocca o toccando ogni cosa sarebbe stato oltremodo pericoloso, senza quel campanello d’allarme che ci fa allontanare da un odore sgradevole, ci induce a sputare un alimento ripugnante o ci mette in fuga da ciò che ci appare repellente.
Uguale per tutti? Secondo Paul Rozin, docente di psicologia all’Università della Pennsylvania (Usa), tutti, indistintamente, siamo disgustati da feci, urina, sangue, muco, saliva, vomito, ferite purulente, parti di corpo, cadaveri, viscere e animali portatori di malattie, come insetti e topi.
Tuttavia, al di là delle schifezze universali, ciascun popolo e Paese ha gusti e disgusti tutti suoi, che dipendono dalla storia, dall’ambiente e dal contesto culturale. «Ogni popolazione ha “eletto” le proprie sostanze ripugnanti, soprattutto nell’alimentazione », prosegue Francesco Mancini. «Per noi occidentali, per esempio, è oggi rivoltante anche solo immaginare di mangiare insetti, mentre per le popolazioni asiatiche e africane è un costume normale.» Analogamente, per i musulmani è disgustoso nutrirsi di maiale e per gli indù di bovini.
Lo schifo morale. «Ma l’emozione del disgusto è suscitata anche da comportamenti, azioni e persone che agiscono in modo che riteniamo corrotto e che mettono in pericolo l’integrità sociale», prosegue Mancini. «Infatti, con lo strutturarsi dell’umanità, il disgusto di base si è evoluto anche in disgusto morale. Davanti a due camicie, entrambe lavate e stirate, ma appartenute una a un impiegato di banca padre di famiglia e l’altra a un pedofilo che sconta la pena in galera, sceglieremmo sicuramente di mettere quella dell’uomo “pulito”. Indossare la camicia del pedofilo ci causerebbe infatti un disgusto morale.»
Davanti a un cumulo di sporcizia nauseabonda e a una persona che ha commesso un delitto efferato il nostro viso assume la stessa espressione di ribrezzo. E il disgusto è così potente che persino oggetti puliti, ma associati all’idea di sporco, bastano a scatenarlo.
Si spiega così quanto accaduto diversi anni fa in alcuni ospedali pediatrici statunitensi. Alle direzioni era stato segnalato che gli infermieri bevevano i succhi di frutta destinati ai bambini, che restavano così a bocca asciutta. «Il problema fu risolto sostituendo i normali bicchieri con contenitori simili a quelli usati per la raccolta di urina», racconta Mancini. I bambini non ci fecero caso; ma gli infermieri, abituati a utilizzarli per tutt’altro scopo, non li usarono più per bere.
Contagioso! Che cosa accade nel cervello quando siamo disgustati? La regione più coinvolta è l’insula, una porzione della corteccia cerebrale. Se un incidente o una malattia la danneggiano, l’avversione per cibi che prima si ritenevano immangiabili scompare, e diventa difficile anche riconoscere le espressioni facciali tipiche di questa emozione.
Studi di neuroimaging hanno anche dimostrato che il disgusto è contagioso. In uno di questi, pubblicato su Neuron e condotto all’Istituto di neuropsicologia di Marsiglia (Francia), ad alcuni volontari è stato fatto annusare un liquido maleodorante, mentre altre persone li guardavano. L’attività cerebrale di queste ultime, così come l’espressione che assumeva il volto, ricalcavano quelle tipiche di chi è disgustato.
Donne più schizzinose. La propensione a provare ripugnanza è tuttavia un tratto individuale. «Non siamo tutti sensibili nello stesso modo», precisa Mancini. «Le donne, per esempio, sono più inclini al disgusto, forse perché questa emozione protegge non solo loro stesse, ma anche la prole.
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Secondo Daniel Fessler, antropologo evoluzionista all’Università della California di Los Angeles (Usa), anche le nausee tipiche dei primi tre mesi di gravidanza hanno una funzione protettiva: in questo periodo, infatti, il sistema immunitario delle donne è meno efficace, e stare lontano da ciò che può causare malattie, a se stesse oppure al feto, è quindi più importante.
Articolo elaborato sulla base di un lavoro di Paola Grimaldi, su Focus EXTRA 76.