Una delle teorie più diffuse sull'origine del "mal di viaggio" (o chinetosi), è quella che vede nei disturbi ad esso associati - tipicamente la nausea - le classiche reazioni fisiologiche da avvelenamento. Ma come fa il cervello a credere di essere stato avvelenato, se non abbiamo ingerito nulla?
Sforzo coordinato. Corsa e camminata, i movimenti a noi più congeniali, sono accompagnati da una serie di processi neurologici a cui ci siamo adattati in milioni di anni di evoluzione: la pressione esercitata su gambe e piedi, i segnali inviati dai muscoli alla corteccia motoria e la consapevolezza della posizione che il nostro corpo occupa nello spazio fanno sì che il cervello riconosca quelle azioni come coerenti e familiari.
L'apparato vestibolare, che fa capo all'orecchio interno, dà informazioni su gravità, accelerazione e orientamento, determinando l'equilibrio; mentre la vista riconosce i ritmi regolari in cui i paesaggi "scorrono" davanti alla retina, e il tipico "dondolio" associato ai passi.
Immobili, ma in moto. Nell'abitacolo di un'auto (o sul seggiolino di un aereo, o in nave), gli input inviati al cervello si fanno contradditori. Nessuna pressione, nessuna contrazione muscolare, niente paesaggi che scorrono, se non da una ridotta porzione di finestrino. Siamo fermi. Eppure, il sistema vestibolare, che obbedisce alle leggi della fisica, percepisce il movimento e le alte velocità. L'informazione che comunica al cervello è: ci stiamo muovendo.
Allarme veleno! Questa duplicità di segnale, quasi come se i sensi principali fossero stati ingannati, viene percepita dalla parte più primitiva del cervello come l'effetto di una neurotossina. E qual è la prima cosa che facciamo quando siamo stati intossicati? Vomitiamo. Quella esposta non è l'unica ipotesi per spiegare il mal d'auto, ma è tra le più convincenti.