Psicologia

Perché il cervello ama i rituali

Sembrano esulare da ogni comune logica, eppure ne seguiamo moltissimi, e guai a cambiarli di una virgola: che cosa ci spinge ad apprezzare, e creare rituali?

Nei più freddi giorni invernali, quando gli altri si stringono nei cappotti, alcuni intrepidi nuotatori sfidano il gelo per tuffarsi nelle acque ghiacciate dei fiumi di Europa, Cina, Russia e Nord America. Che cosa li spinge a una simile "follia"? La passione che il cervello umano ha per i rituali, complesse sequenze di azioni apparentemente senza senso che si ritrovano in ogni cultura. Perché li seguiamo, incuranti di ogni logica?

Senso di appartenenza. Secondo Cristine Legare, psicologa dell'Università del Texas ad Austin, i rituali «aiutano a definirci come gruppo, riflettono i valori di un gruppo e dimostrano l'attaccamento comune al gruppo». Per un animale sociale come l'uomo, sentirsi parte di una "famiglia" più grande è indispensabile: ecco perché siamo nati con la propensione a seguirli.

Una strana affinità. Nel corso dei suoi studi, Legare ha notato un legame tra l'apparente assenza di significato dei comportamenti ritualistici e un curioso fenomeno osservato dagli psicologi infantili in una serie di esperimenti negli ultimi decenni: se si mostra a un bambino una sequenza di azioni che non ha mai visto prima, tenderà a ripetere tutti i gesti, anche i più superflui, e non solo quelli necessari al raggiungimento dell'obiettivo.

Se lo fai tu, ti seguo. Potrebbe trattarsi di un'astuta strategia per non perdere neanche un pezzo dell'insegnamento: memorizzare tutto, e poi con calma capire che cosa è importante e cosa no. Ma se invece i bambini sapessero già che cosa conta davvero, e interpretassero il comportamento degli sperimentatori come un segnale sociale da seguire?

Tutti lo fanno, lo faccio anch'io. Gli esperimenti successivi hanno confermato questa seconda ipotesi: i soggetti di Legare hanno mostrato, per esempio, di riuscire a copiare più fedelmente le sequenze di azioni prive di logica, rispetto a quelle indirizzate a uno scopo.

Se poi questi rituali assumono una dimensione sociale, i piccoli volontari li copiano ancora meglio: insieme a colleghi delle Università di Harvard e Oxford, Legare ha mostrato a 259 bambini video di persone intente a manovrare pioli di legno senza nessuno scopo apparente. I bambini che hanno osservato più soggetti compiere le azioni in sincronia si sono rivelati più accurati nel ripetere i movimenti: la prova che quei gesti erano stati interpretati come convenzioni sociali.

Collante sociale. Allo stesso modo, essere coinvolti in azioni ripetute e ritualistiche (per esempio confezionare braccialetti tre volte alla settimana, secondo un ordine preciso) ha suscitato nei piccoli un più forte senso di appartenenza e connessione al gruppo, rispetto all'essere lasciati liberi di svolgere l'attività (come confezionare braccialetti) a proprio piacimento.

Paura di restare soli. Lo spettro, anche solo agitato, dell'esclusione dal gruppo - per esempio, il guardare tre forme geometriche che giocavano insieme, escludendo una quarta - ha spinto i piccoli a seguire i rituali proposti con maggiore scrupolosità.

La fede non c'entra. Anche se in età adulta i rituali sono spesso associati alla sfera religiosa, la religione non basta a spiegare la tendenza a seguirli: i rituali sono piuttosto strumenti culturali per aiutare un gruppo a sopravvivere.

Abitudini che uniscono. «I rituali collettivi - spiega Legare - sono segnali pubblici di sostegno al gruppo, che facilitano la cooperazione e creano un senso di finalità condivisa. Alcuni studenti universitari sono pronti ad affrontare umiliazioni e abusi pur di appartenenre a una confraternita. Le squadre sportive inscenano speciali routine per gasarsi prima di una partita. E in ambito militare quasi ogni aspetto della vita diviene un rituale collettivo». Insomma per quanto arcani e spesso insensati, ne troviamo ovunque ci sia bisogno di un solido legame sociale.

21 gennaio 2015 Elisabetta Intini
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