La pronuncia di un nome ci rallenta nel parlare più di quanto accada con quella di un verbo, come se per sputare fuori un sostantivo il nostro cervello dovesse fare uno sforzo maggiore. Questo fatto apparentemente curioso e poco rilevante, osservato in uno studio che ha analizzato il parlato in numerose lingue, costituisce in realtà un importante indizio sul funzionamento e l’evoluzione del linguaggio.
Andamento lento. Un gruppo internazionale di ricercatori guidati da studiosi dell’Università di Amsterdam e dell’Università di Zurigo ha analizzato migliaia di registrazioni di frasi pronunciate spontaneamente da persone appartenenti a popolazioni e culture di nove lingue diverse: dalle tribù dell’Amazzonia alle popolazioni dell’Himalaya e della Siberia, dalla lingua inglese al fiammingo. In questo campione così diversificato di linguaggi è stata osservata la stessa tendenza: un rallentamento nell’emissione del parlato prima della pronuncia dei nomi rispetto a quella dei verbi.
Il parlato che precede un nome è tre volte e mezzo più lento di quello che viene prima di un verbo. Inoltre, prima della pronuncia di un sostantivo, in quasi tutti i linguaggi esaminati è stato rilevato un intervallo di tempo, pari a mezzo secondo, che viene riempito dalle classiche espressioni verbali di esitazione (“mmmhh” e altre di questo tipo) oppure da un breve silenzio. È come se la parola che sta per essere pronunciata gettasse un’ombra all’indietro su quella che la precede. Quando la parola è un nome, crea un vero e proprio vuoto prima di sé.
Diversamente informativi. Ma perché i nomi hanno questo effetto di rallentamento sul discorso? L’ipotesi degli autori dello studio è che il motivo abbia a che fare con il ruolo diverso che verbi e sostantivi giocano nel linguaggio. I nomi richiederebbero una maggiore pianificazione perché più spesso veicolano informazioni nuove rispetto ai verbi. Inoltre queste pause costituiscono probabilmente un segnale cui chi ascolta è sensibile e che interpreta come “attenzione, seguirà qualcosa di importante!”.
L'eccezione dell'inglese. Curiosamente queste osservazioni valgono per tutti i linguaggi esaminati tranne che per l’inglese, dove le pause prima dei nomi sono meno numerose, al contrario di quanto accade con i verbi, dove sono più frequenti. Il motivo non è ancora ben chiaro, ma secondo gli autori si tratta di un’eccezione sulla quale vale la pena riflettere per un motivo più generali: molti studi di linguistica e neuroscienze si basano infatti sulla lingua inglese, che - alla luce di queste osservazioni - potrebbe essere proprio la meno rappresentativa.
Per questo genere di ricerche e per comprendere gli aspetti davvero universali del linguaggio, potrebbe essere dunque necessario allargare il numero degli idiomi considerati, includendo anche quelli più rari o in pericolo di estinzione.