Vi sono rimasti impressi la copertina o il volto del protagonista; le emozioni che vi ha trasmesso o il luogo in cui l'avete visto o letto. Ma a meno che non facciate parte di una schiera eletta di super rievocatori, è probabile che abbiate già dimenticato il contenuto di quel libro, o quel film che avete visto pochi giorni fa. Perché succede? È sempre stato così, o è un problema della nostra epoca?
Siamo fatti così. In parte, è una caratteristica intrinseca della memoria umana. Già alla fine del 19esimo secolo Hermann Ebbinghaus, psicologo e filosofo tedesco, tra i primi a studiare la memoria dal punto di vista sperimentale, teorizzò la cosiddetta "curva dell'oblio", che è più accentuata nelle 24 ore successive all'apprendimento. In pratica dimentichiamo più facilmente il materiale letto o visto nelle prime ore, per poi perderlo in modo più sfumato in quelle successive, fino a rimanere con una traccia flebile di quell'esperienza. Ciò è perfettamente fisiologico, se non si ritorna su quel contenuto (come avviene di norma quando si studia).
Come ricorda un articolo sull'Atlantic, possiamo immaginare l'esperienza culturale standard come un bagno caldo nel quale ci si immerge con piacere, per poi osservare l'acqua che scende nello scarico (e lascia un alone sulle piastrelle).
Un problema antico. Probabilmente è sempre stato così. O almeno, è così, da quando la scrittura ha reso superfluo ricordare a memoria il contenuto di complesse tradizioni orali: già Platone nei suoi dialoghi socratici scriveva che la scoperta delle lettere avrebbe reso gli studenti più inclini a dimenticare.
Poter fare affidamento a una fonte esterna, cui affidarsi quando non si ricorda, rende superfluo questo sforzo di memoria. Nell'era del web lo sappiamo bene: Internet è per noi una sorta di memoria esterna cui ricorrere in qualunque momento, per recuperare una citazione o capire in quale film abbiamo già visto quell'attore.
Surplus di informazioni. Bisogna riconoscere che spesso sottoponiamo il cervello a una quantità di contenuti esagerata. Lo scorso anno, uno studio dell'Università di Melbourne ha dimostrato i divoratori di serie tendono a dimenticare gli episodi molto più in fretta di chi ne vede uno a settimana. Non solo: anche il gradimento è inferiore, rispetto a chi si limita a una puntata al giorno, o ogni sette giorni.
Troppo, e troppo in fretta. Questa sorta di binge watching è presente anche per le parole scritte. Uno studio del 2009 ha rivelato che il lettore americano medio entra in contatto ogni giorno con 100 mila parole scritte (anche se non le legge tutte).
Difficile che da allora questo numero sia calato. La maggior parte delle cose che leggiamo, subisce questo destino: soprattutto quando siamo online leggiamo per acquisire informazioni, non sempre per imparare. Non è un sapere destinato a restare, e come tale, evapora velocemente.
Per assorbire davvero ciò che leggiamo, dovremmo distanziarlo nel tempo, gustarne soltanto un pezzo alla volta. Se divorate un romanzo intero sull'aereo, è probabile rimanga soltanto nella memoria di lavoro (il magazzino momentaneo dal quale peschiamo le informazioni che ci servono), e che gran parte di esso svanisca dopo l'atterraggio.
Non tutto è perduto. Dopotutto, forse desiderare che libri, film e serie tv rimangano stipati nella memoria come in una biblioteca cui accedere a piacimento è soltanto una forma di narcisismo. Piuttosto, l'esperienza della lettura (o della visione di un film) sa creare associazioni che torneranno a galla, involontariamente; e intrecciarsi profondamente con il contesto di fruizione per creare un ricordo emotivo. Forse si potrebbe godere già di questo.