Psicologia

Perché ci specchiamo? E che cosa facciamo (e ci diciamo) davanti allo specchio?

Tutto quello che c'è da sapere sulle dinamiche psicologiche che si nascondono nel guardare la nostra immagine riflessa allo specchio e nel rapporto che abbiamo con essa.

Specchiarci è una delle prime cose che facciamo ogni mattina. Eppure, pensiamoci bene: di tutti i volti che incrociamo, il nostro è quello che conosciamo meno. Non possiamo vederlo agire, sorprendersi, sorridere all'improvviso (perlomeno non in tempo reale). Forse per questo, c'è chi davanti al proprio riflesso passa molto tempo: ne scruta ogni dettaglio, magari alla ricerca di un segno di invecchiamento in più, altri fanno boccacce, o provano espressioni.

Ogni mattina allo specchio. Quell'immagine suscita curiosità, riflessioni su se stessi, a volte decisioni. Ma non mancano coloro che danno solo una fuggevole occhiata allo specchio o ne evitano il più possibile il riflesso. In ogni caso, il confronto con la propria immagine non lascia nessuno indifferente. Si tratta di una tappa fondamentale della costruzione della nostra identità, che comincia da bambini ma che tutti cerchiamo di confermare e "riaggiustare" ogni giorno. Cominciando proprio dall'osservarci la mattina al di là di quel vetro riflettente.

Alla ricerca di sé. Che cosa cerchiamo nello specchio? Ovviamente la conferma del nostro aspetto fisico. Che non è affatto secondario: una recente ricerca apparsa sulla rivista Evolution e Human Behaviour ha calcolato che, a ogni età, passiamo un sesto della vita a occuparci della nostra immagine. E ovviamente una grossa fetta di questo tempo si trascorre davanti allo specchio. L'apparenza conta, in effetti: è stato dimostrato, per esempio, che gli studenti con i tratti del viso più regolari vengono anche ritenuti più diligenti e meritevoli dagli insegnanti, e che le persone avvenenti in generale, e le donne in particolare, fanno più carriera.

Essere belli, e quindi piacevoli da vedere (per gli altri), può fare la differenza in molte situazioni. Ma trovarsi o meno a proprio agio davanti alla propria immagine riflessa dipende innanzitutto da come, nella mente, rappresentiamo a noi stessi il nostro corpo. Perché non ne abbiamo uno, ma due: «Il primo è quello che sentiamo, ovvero la nostra "carne", ne percepiamo lo stato (di benessere o meno), la posizione nello spazio ecc.; il secondo è quello che vediamo quando ci riflettiamo in uno specchio, o nell'acqua, o in una superficie di metallo. Nel primo caso di solito diciamo (e soprattutto pensiamo) "questo corpo", nel secondo invece "quel corpo". È una differenza fondamentale», spiega Giovanni Stanghellini, docente di psicologia dinamica all'Università di Chieti e autore del saggio Selfie (Feltrinelli).

«E vedersi da fuori, come un oggetto tra gli altri oggetti, porta a cogliere caratteristiche e difetti di cui "da dentro" non potremmo accorgerci».

Neuroni specchio. Per gli psicologi, la percezione cenestesica del corpo (è detto così il fenomeno per cui "ci sentiamo corporei") deve essere il più possibile in equilibrio con quella ottica, ovvero con ciò che vediamo nello specchio (ma anche nelle foto o nei video) perché da queste due percezioni deriva l'esperienza vera e propria del corpo, dalla quale dipende almeno in parte la costruzione dell'identità personale. C'è di più: il riflesso del nostro aspetto fisico ha una attrattiva enorme sul cervello. Le ricerche di Vittorio Gallese, tra gli scienziati celebri per aver scoperto l'importanza dei cosiddetti (non a caso!) neuroni specchio, hanno dimostrato che se guardiamo la nostra mano in una fotografia si attivano i neuroni cerebrali necessari per muoverla molto di più di quello che succede se guardiamo la mano di un'altra persona.

È lecito presumere allora che la vista della nostra immagine riflessa attivi notevolmente l'encefalo, dandoci un senso del sé che secondo gli studi proviene soprattutto dalla cosiddetta corteccia insulare, una zona del lobo frontale. Ad aggiungere attrattiva allo specchio, non va dimenticato che si tratta di uno strumento comunque un po' inquietante: non restituisce un'immagine perfettamente identica, ma rovesciata, in cui la mano destra diventa la sinistra e viceversa. E guardandolo non capiamo subito se vediamo la sua superficie o se guardiamo attraverso di essa. Per qualche frazione di secondo, dunque, questa sensazione ci spiazza.

L'immagine che vediamo la mattina nello specchio è quindi quasi magnetica per la nostra mente. Ma raggiungere l'equilibrio ideale tra il nostro sé corporeo e quello che ci appare al di là del vetro non è affatto semplice. Tutte le volte che una persona si mette davanti a uno specchio, si pettina, si trucca, veste certi abiti, prova pose ed espressioni, cerca infatti di adeguare la sua immagine esteriore a un modello che ha già in testa. E abbiamo innumerevoli immagini di noi stessi: dipendono da chi sappiamo che di lì a poco ci guarderà (un fidanzato, un collega, un capo), al momento particolare in cui ciò si verificherà, e in generale al contesto nel quale agiremo (stiamo andando al lavoro o a divertirci?). Inoltre, spesso non siamo soddisfatti del nostro riflesso.

Così, proviamo a scolpirlo con diete o sessioni di fitness: in questo caso il corpo diventa un mezzo di affermazione sociale, un po' come avere uno stipendio alto o un lavoro prestigioso, ed essere in forma diviene uno status symbol.

Specchi deformanti. «Per la nostra cultura, persona e corpo non sono la stessa cosa: il secondo è come un "attributo" della prima e quindi è qualcosa che possiamo cambiare», continua Stanghellini. Tra gli adolescenti, che non hanno ancora molti campi in cui possono manifestare la propria autonomia, il tentativo di intervenire sul proprio corpo è particolarmente marcato, perché si tratta di un ambito in cui finalmente possono agire. Ed ecco allora le interminabili sessioni di trucco o di acconciatura allo specchio tipiche dei teenagers, alla ricerca di una immagine perfetta. In particolare, alcuni esperimenti condotti davanti a specchi deformanti dallo psicologo Jacques Corraze hanno dimostrato che per gli adolescenti è più difficile accettare mutamenti nella forma del naso, delle mani, delle spalle e del volto in generale: sono queste le parti del corpo che i giovanissimi osservano di più nello specchio.

Del resto, anche tra gli adulti, ci sono persone che si specchiano proprio alla ricerca dei difetti (arrivando per esempio a pizzicarsi sulle cosce per vedere se salta fuori un po' di cellulite): ma non è così che ci guardano gli altri, che in genere vedono il nostro corpo nella sua interezza.

La mente si riflette. È stato dimostrato soprattutto riguardo ai volti. In un celebre esperimento, a un gruppo di persone sono state mostrate fotografie del viso di altri individui e delle loro case. Dopo aver dato a queste persone il tempo di memorizzare le immagini, sono stati mostrati loro solo particolari delle foto (per esempio il naso invece dell'intero viso, la porta invece dell'intera casa) ed è stato chiesto di chi fosse il naso o la porta in questione. Sorprendentemente, quando si trattava delle case le persone riuscivano a identificarle solo guardando una porta o una finestra. Mentre, quando si mostrava un naso o un orecchio raramente gli osservatori riuscivano ad abbinarlo al suo proprietario. È la prova che quando osserva i volti, il nostro cervello li coglie nel loro insieme, ma quando vede oggetti il cervello invece è più analitico e ne osserva anche le singole parti.

Naturalmente, quando ci guardiamo allo specchio noi utilizziamo proprio questa parte analitica del cervello per scrutarci ben bene.

Ma non è ciò che si fa istintivamente e che quindi fanno le persone intorno a noi: un brufolo, per esempio, non verrà notato più di tanto, anche quando a noi sembra enorme. In effetti, da tempo gli scienziati studiano i sistemi cerebrali che rendono possibile il riconoscimento allo specchio. Si trovano in entrambi gli emisferi: in quello sinistro avviene l'identificazione veloce del proprio volto, anche se visto fuggevolmente. Questo tipo di riconoscimento, però, potrebbe anche essere errato e sono i sistemi nell'emisfero destro a precisare meglio l'immagine e a far sì che la persona che sta osservandosi sia sicura che si tratta davvero del proprio viso.

Dalla necessità di connettere queste due aree deriva quella sensazione che abbiamo provato tutti qualche volta: vedere all'improvviso la propria immagine riflessa in una vetrina, per esempio, e impiegare una frazione di secondo prima di riconoscere se stessi. La capacità di riconoscersi dunque non è immediata, probabilmente perché è entrata di recente nella storia dell'evoluzione della nostra specie. Si è affermata velocemente poiché è una utile abilità sociale: gli animali che sono vissuti lontano da altri conspecifici (è stato provato prima con gli scimpanzé poi con altre specie) non sono in grado di riconoscersi, ma se li si inserisce in un gruppo e imparano a interagire con gli altri, dopo un po' di tempo riescono a riconoscersi allo specchio.

Gli animali allo specchio. Del resto, anche i bambini ci riescono soltanto intorno ai due anni. È a questa età che superano il test di Gallup, ovvero se vengono addormentati e si disegna loro un segno sulla fronte, cominciano a toccarlo solo se vengono posti di fronte a uno specchio. Hanno superato questo test anche alcuni animali come gli scimpanzé, gli oranghi, i gorilla, i delfini e gli elefanti (in gran parte di queste specie però solo pochi individui hanno questa capacità, mentre spesso la maggioranza degli esemplari resta indifferente davanti alla propria immagine).

Attenzione: secondo i neuroscienziati, riconoscersi in uno specchio non implica la consapevolezza di sé. Le persone con prosopagnosia (incapacità di riconoscere i volti) sanno benissimo chi sono e hanno un sé consapevole anche se non hanno idea di chi sia colui o colei che vedono nello specchio ogni mattina. Allora, forse, non vale la pena di dare troppa importanza a quel riflesso che ci appare al di là del vetro.

In fondo, noi… non siamo davvero lì dentro!

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8 giugno 2023 Raffaella Procenzano
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