Si dice "ne uccide più la lingua che la spada" proprio per indicare il potere di ferire di una critica. E in effetti, quanti di noi, davanti per esempio a un feedback dato dal capoufficio e di un professore, ricordano più i punti da migliorare che quelli per cui sono stati elogiati? E quanti, a dispetto dell'età adulta, ancora soffrono quando ricordano una brutta figura fatta alle elementari?
Ricordi negativi. Non è un caso se le memorie dolorose rimangono particolarmente impresse. È la conseguenza del fatto che gli stimoli negativi producono una risposta molto più forte nella corteccia cerebrale rispetto a quelli positivi o neutri.
«Guardare un viso arrabbiato, perfino se lo vediamo per una frazione di secondo (e non ce ne rendiamo conto), trasmette un segnale d'allarme nell'amigdala, una zona del nostro cervello, e attiva il meccanismo ancestrale del "fuggi o combatti"», spiega lo psicologo americano Rick Hansen. Una volta poi che l'amigdala è all'erta, le esperienze e gli eventi negativi vengono subito immagazzinati nella memoria, mentre le esperienze e gli eventi positivi devono essere registrati dal cervello per una dozzina di secondi prima di essere fissati.
Secondo gli studi scientifici, già tra gli 8 e i 14 mesi i bambini reagiscono più rapidamente all'immagine di una faccia arrabbiata che di una felice. E ciò si verifica poiché la capacità di badare alle minacce dirette, ma anche alle notizie potenzialmente cattive, è stata determinante per i nostri antenati. Visto che essere un po' più accorti voleva dire riuscire a tramandare i propri geni. E così, all'inizio della storia umana, il nostro modo di leggere la realtà si è strutturato secondo il cosiddetto "pregiudizio della negatività", ovvero l'inclinazione a dare più peso agli eventi negativi rispetto a quelli positivi, anche se meramente ipotetici.
Troppe critiche. Tuttavia, quando le critiche sono troppe e soprattutto ci colpiscono in momenti in cui siamo vulnerabili, in un certo senso il dolore che proviamo ci "anestetizza", compromettendo la capacità di provare empatia. I ricercatori della Binghamton University di New York hanno misurato l'attività cerebrale di bambini dai sette agli 11 anni scoprendo che i figli di genitori molto critici mostravano meno attenzione alle espressioni facciali dei loro interlocutori rispetto ai figli di genitori poco critici.
Probabilmente perché, per proteggersi da emozioni per loro devastanti, i soggetti ipercriticati diventano meno sensibili ai segnali negativi, ma finiscono per registrare meno anche le espressioni positive.
E così inavvertitamente tendono a pensare che gli altri non li capiscano, mentre potrebbero essere loro a non cogliere negli altri i segni di una vicinanza emotiva.
la coppia scoppia. Come dimostra il caso dei genitori severi, è ovvio come le critiche siano ancora più dolorose se a farle è qualcuno che amiamo: i commenti negativi dei nostri cari hanno un impatto maggiore rispetto a quelli degli estranei perché abbiamo aspettative su come dovrebbero comportarsi con noi, e in caso di critica ci sentiamo "traditi". Proprio perché vi attribuiamo più importanza, a volte le osservazioni negative delle persone più vicine possono sfociare in un risentimento inguaribile. John Gottman, professore emerito di psicologia all'Università di Washington, ha condotto uno studio su oltre 3.000 coppie in cui è stato in grado di prevedere quali avrebbero divorziato con una precisione del 93,6%.
A suo avviso, tra i fattori più rilevanti nel portare una coppia al divorzio c'è proprio il tasso di critica: nelle coppie che restano insieme, anche durante i litigi, il rapporto tra osservazioni positive e negative è di 5 a 1, mentre nelle unioni che scoppiano il rapporto è di 0,8 a 1. Quando poi due partner vengono indirizzati da un mediatore familiare a cambiare il loro modo di esprimersi, ridurre le critiche riduce la conflittualità molto di più che aumentare le attenzioni. Insomma, un gesto o una frase benevola hanno meno presa sull'altro di un giudizio negativo. Al contrario, le critiche del partner fanno così male che, attesta una ricerca del 2014, addirittura deprimono le difese immunitarie, diminuendo la capacità di reagire a virus e tumori.
Differenze tra Uomini e donne. C'è però una differenza tra il modo in cui uomini e donne reagiscono ai commenti negativi (ma non in cui li patiscono): le donne hanno molte più probabilità di interiorizzarli, e di provare tristezza o depressione, mentre gli uomini tendono a esternarli (sotto forma di imprecazioni o rabbia), sostiene Timothy J. Bono, esperto in "Scienza della felicità" all'Università di St. Louis (Usa).
Vale anche per i risultati negli esami: le donne patiscono di più gli esiti negativi, attribuendoli a una mancanza di intelligenza o di impegno; gli uomini invece li attribuiscono sovente al caso. E così, come dimostrato dall'economista di Harvard Claudia Goldin, i maschi tendono a specializzarsi in economia indipendentemente dal voto ricevuto nel corso introduttivo alla materia, mentre le donne hanno meno probabilità di continuare se non ricevono il voto massimo.
Attenti ai social. Le critiche sono ancora più devastanti quando arrivano in grandi quantità, come avviene sui social. Tanto che molte celebrità, magari adorate da milioni di fan, hanno annunciato di voler abbandonare Twitter e Instagram: di recente hanno chiuso i loro account l'attore Timothée Chalamet e le cantanti Billie Eilish e Selena Gomez, che si sono dichiarati sopraffatti dai feedback "tossici". John Tierney e Roy Baumeister, autori del libro Il potere del male. Come controllare il pregiudizio della negatività (Giunti), hanno una spiegazione: le persone non sanno affrontare la negatività sulla scala gigantesca dei social, perché il nostro cervello si è evoluto per ascoltare gli avvertimenti di una ristretta comunità di cacciatori-raccoglitori invece che quelli di moltissimi estranei.
Particolarmente vulnerabili appaiono quindi tutte le persone che controllano spesso i commenti sui social media, e gli adolescenti sono i più esposti. Secondo un recente studio pubblicato su JAMA Pediatrics, la visita ripetuta (più di 15 volte al giorno) dei social media da parte di ragazzi 12-13enni determina cambiamenti nel modo in cui il loro cervello si sviluppa nei successivi tre anni, «rendendoli ipersensibili al feedback dei loro coetanei», ha affermato Eva Telzer, professoressa di psicologia e neuroscienze dell'UNC-Chapel Hill e autrice dello studio. Il riscontro negativo fa male anche quando è indiretto, come quando un teenager si paragona alle immagini diffuse sui social media.
Adolescenti più a rischio. Un sondaggio condotto su 1.024 giovani inglesi dai 12 ai 21 anni ha riscontrato che 3 dodicenni su 4 e ben 8 ragazzi su 10 tra i 18 e i 21 anni non apprezzano il proprio aspetto. E questa insoddisfazione causata dai social è destinata a perdurare in seguito: uno studio dell'università giapponese di Shinshu ha evidenziato come le persone che già si vedono negativamente abbiano maggiori probabilità di ricordare e di trovarsi d'accordo con i feedback negativi perché essi si allineano con quella che ormai è un'acquisita percezione di sé.
In compenso, numerosi studi hanno dimostrato che le persone tendono a guardare di più il lato positivo delle cose man mano che invecchiano e sono quindi meno sensibili alle critiche. Alcuni ricercatori ipotizzano che questa inversione rispetto alla norma derivi da un declino cognitivo connesso all'età, che impedisce al cervello di funzionare "come al solito", mentre altri lo leggono come un effetto della capacità degli anziani di spostare lo sforzo mentale verso fattori rilevanti per ottenere un obiettivo: una sorta di ottimizzazione delle energie che evita il rimuginio su cosa non si può cambiare o non ha funzionato.
In ogni caso, proprio lo slittamento del focus, da cosa non va a cosa è ok, aiuta a vedere la vita più in rosa.
La regola del panino. Gli esperti suggeriscono una serie di tecniche per minimizzare l'impatto delle critiche: per esempio prenderle più come un indizio rivelatore della personalità di chi ci biasima (o del fatto che sta avendo una brutta giornata) che dei nostri limiti, o come tenere un "diario della gratitudine", per ricordarci le cose per cui dobbiamo essere grati alla sorte. Aiuta anche sforzarsi di rivolgerci gentilmente a noi stessi, invece di addossarci colpe; insomma, anziché darsi dell'idiota per non aver svolto al meglio un compito, bisognerebbe abituarsi a dire: "stavolta ho imparato qualcosa dai miei errori e la prossima volta andrà meglio". Un altro invito è quello di interrompere il flusso dei pensieri negativi (facendo sport, ascoltando musica che rasserena, leggendo qualcosa di divertente).
Se poi siamo noi a dover criticare un altro, l'ideale sarebbe usare la regola del sandwich: si inizia a dire qualcosa di buono, si inframmezza una critica, come si fa con il ripieno di un panino, e si finisce con una nota positiva. Ma non tutti pensano che sia la tecnica giusta: «Una volta che esprimi una critica, le persone reagiscono così male che il cervello sostanzialmente dimentica le altre parti», spiega Tierney, che consiglia invece «di sparare subito ciò che non va: in seguito, puoi aggiungere in cosa l'altro è bravo e fargli sapere come può migliorare». Per tutti, però, il suggerimento è quello di andarci piano; perché, come sosteneva lo scrittore inglese Somerset Maugham, "La gente ti chiede una critica, ma in realtà vuole solo una lode".
Tratto da Quando la situazione è critica, pubblicato su Focus n.368 (giugno 2023).
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