Che pensieri si hanno, e con quali parole li si esprime, quando si sta per dire addio alla vita? Il tema delle "ultime parole", famose o no che siano, è stato immaginato da scrittori, poeti, pittori e musicisti, ed è anche l'oggetto, solo apparentemente insolito, di molte ricerche di psicologia.
Non le parole di chi si spegne per l'età, ma quelle di un condannato alla vigilia dell'esecuzione: conoscere ciò che muove e viene espresso in queste ultime affermazioni della propria esistenza non può non suscitare profonde riflessioni sulle grandi domande dell'esistenza, ma anche e soprattutto sulla assurda e illogica barbarie rappresentata dalla pena di morte.
Nel braccio della morte. I momenti in cui si fronteggia la morte imminente sono quelli più densi di significato, e le parole dette sono un indizio rivelatore dei bisogni più intimi di un essere umano. Non è però facile analizzare da un punto di vista scientifico questioni del genere, e non è facile ottenere i "dati", vale a dire le frasi e le parole pronunciate in prossimità dell'esecuzione.


Ci sono però dei cataloghi di "ultimi discorsi": come tappa finale dell'esecuzione della sentenza capitale negli Stati Uniti, per esempio, ai condannati a morte è permesso di pronunciare un'ultima dichiarazione, e le trascrizioni sono rese pubbliche dopo la sentenza. In Texas il Dipartimento per la giustizia conserva in archivio proprio questo genere di memorie: due ricercatori della Johannes Gutenberg University (Magonza, Germania) hanno passato in rassegna gli studi compiuti su questo archivio per capire quali meccanismi psicologici ed emotivi vengono messi in atto dalle persone di fronte alla morte reale, non quella immaginata o temuta, da cui sono separati da un numero noto di ore, minuti, secondi.
Discorsi rivelatori. Un loro studio precedente aveva già esplorato da un punto di vista quantitativo le dichiarazioni dei condannati con un programma di analisi del testo che conta le parole utilizzate e le classifica in diverse categorie linguistiche, psicologiche e di contenuto. Su 527 condannati a morte tra il 1982 e il 2015, per cominciare, solo in 119 hanno rinunciato a fare un'ultima dichiarazione. In media i discorsi pronunciati sono stati di 104 parole l'uno, più o meno come questo paragrafo, e nelle frasi prevalgono parole legate a emozioni positive: in media, ne contengono una percentuale del 9,65 per cento, contro il 2,65 per cento dei termini per emozioni negative.


Quello che alla fine conta. La prima persona singolare viene utilizzata più spesso delle altre, verbi al presente più che al passato, e poche parole collegate alla morte.
Il termine che compare di più è "amore", ma spiccano anche parole come "dispiacere", "famiglia", "Dio", "speranza", "desiderio", "perdono".
Analizzando lo stesso archivio dal punto di vista qualitativo e dei contenuti, altri studi hanno individuato i temi che compaiono più di frequente: amore, perdono, dichiarazioni di innocenza, fede nell'aldilà, appelli contro la pena di morte. Le grandi categorie cui appartengono da un punto di vista semantico questi discorsi, come mostra un'altra ricerca, sono quelle degli affetti (70 per cento), della spiritualità (56 per cento), e infine espressioni di scuse e dispiacere per i familiari della vittima (37 per cento).
Finzione e realtà. In genere siamo tentati di associare la morte a pensieri di ansia, paura e sofferenza, ma sembra invece che quando il momento arriva per davvero siano i sentimenti di calma e di pace a prevalere. Addirittura, uno studio che ha paragonato le parole usate da persone cui è stato chiesto di immaginare di trovarsi nel braccio della morte o di essere un malato terminale con quelle pronunciate detenuti e pazienti veri, conferma che la morte immaginata è più cupa di quella percepita da chi si avvicina per davvero alla fine.
Come abbiamo detto, sono questioni che suscitano molte riflessioni, anche sull'assurdità dalla pena di morte. Le riassume in una frase un cappellano che ha assistito a 95 esecuzioni in Texas, citato nel finale dell'articolo sulla rivista Frontiers in Psychology: "come può uno stato uccidere delle persone per insegnare ad altre persone che uccidere è sbagliato?".