Nel 1961, in uno dei più celebri processi a un criminale di guerra nazista Adolf Eichmann, uno dei principali esecutori materiali della deportazione e dello sterminio della popolazione ebraica, tentò di impostare la propria linea difensiva ponendosi come un burocrate senza responsabilità dirette, che non aveva fatto altro che eseguire gli ordini ricevuti.
Il processo - tenutosi in Israele e trasmesso in televisione - si concluse con la condanna a morte di Eichmann, ritenuto colpevole di "aver spietatamente perseguito lo sterminio degli ebrei". Ma la possibilità che un gerarca delle SS potesse difendersi dicendo di aver solamente eseguito degli ordini segnò profondamente l'opinione pubblica: fu riferendosi ad Eichmann e alla sua apparente assenza di pensiero, nonché all'incapacità di elaborare il significato delle proprie azioni, che la scrittrice e pensatrice tedesca Hannah Arendt coniò l'espressione "La banalità del male".
Soprattutto colpì Stanley Milgram, psicologo e assistente universitario 26enne dell'Università di Yale, che per indagare le dinamiche di obbedienza all'autorità concepì uno dei più celebri (e discutibili, dal punto di vista etico) esperimenti sociali di sempre.
Cavie inconsapevoli. Milgram pubblicò su un giornale locale un annuncio per reclutare "volontari pagati", che partecipassero a un esperimento sull'apprendimento. I soggetti, tra i 20 e i 50 anni di età, furono accolti da uno sperimentatore che spiegò loro le dinamiche del fantomatico "test", per indagare gli effetti della punizione sulla capacità di imparare. Ai volontari venne affidato il ruolo di "insegnanti": ogni qualvolta gli allievi (complici dello sperimentatore sotto mentite spoglie) avessero dato la risposta sbagliata, gli insegnanti avrebbero dovuto dare loro una scossa, premendo un pulsante per azionare un generatore di corrente elettrica.
Lo sperimentatore incoraggiava gli insegnanti titubanti a somministrare la scossa, motivandoli con frasi sempre più convincenti (fino a non lasciare loro possibilità di scelta). A ogni risposta sbagliata degli allievi il voltaggio saliva, e con esso le urla delle finte "vittime": né le scosse, né le lamentele (o gli svenimenti) dei torturati erano veri, ma i volontari non lo sapevano. Né sapevano di essere loro i veri soggetti di un esperimento teso a verificare i limiti dell'obbedienza a un ordine ricevuto.
Biechi esecutori. Nel presentare le conclusioni del suo studio, Milgram scrisse che il 65% dei suoi soggetti aveva eseguito gli ordini dell'autorità, proseguendo con la tortura nonostante il dolore evidente delle vittime. Fece riferimento ai campi di concentramento e alle camere a gas, dicendo che nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza l'obbedienza di massa a ordini impartiti.
I risultati colpirono l'immaginario comune per il ritratto a tinte fosche che tratteggiavano della natura umana.
Siamo davvero così? Ma la realtà dei fatti è un po' diversa da quella che ci è stata trasmessa. Molti dei dati raccolti non furono pubblicati, furono accantonati ad arte o sminuiti per far emergere una versione più inquietante e adeguata al caso Eichmann - come scrive sul New Scientist Gina Perry, psicologa che ha ascoltato le registrazioni dei 780 esperimenti svolti da Milgram, e studiato le 158 scatole di documenti che li raccontano.
Le riserve. Un primo problema riguarda quel 65% di uomini adulti pronti a eseguire qualunque tipo di ordine, incuranti delle conseguenze, citato da Milgram: quel numero fu ricavato soltanto dal primo articolo scientifico sull'obbedienza, basato su una quarantina di uomini. Davvero poteva dire di aver scoperto una verità universale, basandosi sulle azioni di 26 persone?
Insubordinazione. Un altro dettaglio poco noto è che Milgram condusse 23 variazioni del suo famoso esperimento, ciascuna con diversi scenari e attori. In una, l'attore-allievo non urlò mai fino alla scossa di 300 volt - dopo la quale finse di sbattere contro il muro e di cadere privo di sensi. In un'altra, l'allievo si rifiutava di partecipare e lo sperimentatore occupava entrambi i ruoli di vittima e motivatore. Ma soprattutto, in più della metà delle varianti, la maggior parte dei volontari disobbedì agli ordini e si rifiutò di continuare, un particolare di cui non si tenne conto, nel raccontare l'esperimento.
Io non lo faccio. Gli archivi raccontano che i soggetti tentarono qualunque mossa pur di evitare di somministrare le scosse. Alcuni si offrirono di "scambiarsi di ruolo" con la vittima; altri enfatizzarono la risposta corretta, per non far sbagliare l'allievo e non doverlo punire; altri ancora imbrogliarono dando una scossa più bassa del dovuto. Molti implorarono lo sperimentatore, in tanti ci litigarono e lo sfidarono.
Problemi di metodo. Il team di Milgram "scolpì" i risultati lasciando da parte i dati più "scomodi" in un modo ben poco scientifico. Nelle prime fasi della ricerca, i soggetti che resistetterò più di quattro volte agli ordini furono classificati come "disobbedienti" ed esonerati dallo studio (più tardi questo stesso comportamento fu ignorato). In una variazione con un soggetto donna, lo sperimentatore insistette per 26 volte affinché continuasse a dare la scossa - più che un ordine, una coercizione.
Così manipolabili? Inoltre, quanto era davvero possibile che i volontari credessero allo scenario allestito da Milgram? Quanti di loro potevano pensare che un'università come Yale permettesse di perpetrare torture potenzialmente letali nei suoi laboratori? Lo stesso Milgram, in una nota nei suoi archivi, non pubblicata, si chiedeva se gli esperimenti fossero «scienza significativa o soltanto potente teatro.
.. Io sono incline ad accettare la seconda interpretazione».
Anche la National Science Foundation, tra i primi finanziatori di Milgram, espresse riserve sui suoi esperimenti nel 1962, invitandolo a compiere un follow-up della prima ricerca in cui avrebbe chiesto ai volontari intervistati la loro interpretazione dei fatti di Yale. Milgram si occupò di questa dettagliata analisi, ma non pubblicò i risultati per una decina di anni. Solo allora emerse che appena il 56% dei volontari aveva creduto che le scosse fossero vere.
Un quadro di speranza. Non solo, in altre analisi non pubblicate si legge che le persone più disponibili a disubbidire erano quelle convinte che le scosse fossero vere. Quel 44% che dubitava della loro autenticità era, al contrario, risultato più incline ad aumentare il voltaggio. La ricostruzione di umanità che ne deriva è più ricca e speranzosa di quella narrata da Milgram: non pedissequi esecutori di ordini, ma cercatori di significato, talvolta astuti, a volte goffi, ma molto spesso fieri e resistenti.
Immagini in bianco e nero tratte dal film: Obedience ©1968 by Stanley Milgram. ©Renewed 1993 by Alexandra Milgram. Distributed by Alexander Street Press. Stanley Milgram papers, 1927-1993 (inclusive). Manuscripts & Archives,Yale University. Foto via New Scientist.