In passato i critici della tortura hanno evidenziato le motivazioni morali per osteggiarla, ma presumevano anche che la tortura servisse allo scopo. Sbagliavano.
«La tortura non è un sistema efficace per ottenere informazioni», afferma Roger Koppl, docente di economia alla Feirleight Dickinson University di Madison, New Jersey (Usa).
Ignoranti. «Il perché è presto detto: i torturatori non sanno qual è la verità e non sono in grado di riconoscerla quando viene detta, perciò non sono in grado di promettere che smetteranno di torturare quando l’hanno ottenuta, perché il torturatore non sa neppure se è tutta la verità e tortura per ottenerne di più. Le vittime lo sanno e quindi inventano una verità per cercare di interrompere le torture, oppure nascondono la verità perché rivelarla è inutile». Le conclusioni di Koppl sono spiegate in uno studio pubblicato sulla rivista Episteme.
«La tortura», prosegue, «è uno strumento inadeguato a ottenere informazioni perché non agisce in condizioni reali. Forse ci sono situazioni in cui è efficace, ma sono rare: nella maggior parte dei casi è inutile».
Non razionale. Shane O'Mara, professore di Psicologia sperimentale al Trinity College di Dublino (Irlanda) e autore del saggio Why Torture Doesn't Work, aggiunge che la gravità della tortura compromette la capacità di pensare. La deprivazione del sonno, l'estremo dolore fisico, la paura di nuove sevizie e lo stress psicologico producono panico, dissociazione, momenti di incoscienza, danni neurologici a lungo termine: danneggiano la memoria e generano un intenso desiderio di parlare, se questo è l'unico modo per far cessare i soprusi.
O'Mara fa l'esempio di un 60enne scampato alle torture in Cambogia: aveva raccontato ai suoi aguzzini di essere un ermafrodita, una spia della CIA presso un vescovo cattolico e il figlio del re di Cambogia in persona. In realtà era un insegnante con la sola colpa di conoscere il francese.
Addestrati a non credere. I torturatori perpetrano un'escalation delle sevizie finché non arrivano alla supposta verità, ma non esiste alcuna prova scientifica del fatto che sappiano capire quando il torturato dice il vero. Si tratta infatti di persone addestrate a credere che gli altri stiano mentendo: spesso le torture proseguono anche se il prigioniero ha confessato, soltanto perché all'aguzzino quella verità non basta.
Le conferme degli aguzzini. Anche le torture più raffinate e terribili, come quella dell'acqua (il waterboarding) sembrano non funzionare. Secondo le dichiarazioni di Bob Baer, ex funzionario della CIA, le informazioni ottenute mediante la tortura dell'acqua non sarebbero affidabili: produrebbero false confessioni. Secondo Baer, il waterboarding è «una cattiva tecnica di interrogatorio: se la tortura è sufficientemente cattiva, è possibile far confessare qualsiasi cosa a chiunque».
Che cos'è il waterboarding? La tecnica della tortura dell'acqua, definita nel 2005 dal precedente direttore della CIA Porter J. Goss come una "tecnica di interrogatorio professionale", viene così descritta dalla giornalista Julia Layton:
«Il waterboarding, com'è normalmente descritto, prevede che la persona sia legata ad un'asse inclinata, con i piedi in alto e la testa in basso. Coloro che svolgono l'interrogatorio bloccano le braccia e le gambe alla persona in modo che non possa assolutamente muoversi, e le coprono la faccia. In alcune descrizioni, la persona è imbavagliata e qualche tipo di tessuto ne copre il naso e la bocca; in altre, la faccia è avvolta nel cellophane. A questo punto, colui che svolge l'interrogatorio a più riprese vuota dell'acqua sulla faccia della persona. A seconda del tipo di preparazione, l'acqua può entrare effettivamente nelle vie aeree oppure no; l'esperienza fisica di trovarsi sotto un'onda d'acqua sembra essere secondaria rispetto all'effetto psicologico. La mente crede di stare per affogare.»