Potreste avere l'aspirapolvere acceso, gli operai in casa e una banda di percussionisti in salotto, e nonostante tutto accorgervi delle grida di un bambino che si è fatto male in cortile. Le urla umane sembrano studiate apposta per attirare l'attenzione, spiccando sopra ad altri mille rumori. Ma che cosa le rende tanto speciali?
Non è l'intensità, né l'acutezza. Ma la capacità di cambiare intensità sonora molto velocemente: una caratteristica nota come asprezza o ruvidità del suono (roughness) che ci fa percepire l'urlo come sgradevole, e attiva, insieme alle aree auditive del cervello, anche il circuito della paura.
Sono le conclusioni di una ricerca condotta dalle Università di Ginevra e di New York, e dal Max Planck Institute for Empirical Aesthetics. Lo studio è appena stato pubblicato su Current Biology.
Stimoli a confronto. I ricercatori hanno allestito una serie di esperimenti per confrontare le proprietà di diverse tipologie di suono e osservare le risposte cerebrali associate ad ognuna di esse. Per il primo test hanno confrontato decine di suoni scaricati da Internet (vocalizzazioni umane come frasi o urla; suoni artificiali come allarmi, sveglie e suoni strumentali; oltre a semplici note separate da intervalli).
Una curiosa affinità. Dall'analisi dei suoni è emerso che le urla registrate, così come gli allarmi, occupavano una nicchia precisa dello spettro auditivo, caratterizzata proprio dall'asprezza: nelle urla, le differenze tra le intensità dei suoni variano dai 30 ai 150 Hz. Un intervallo molto ampio, se consideriamo che i suoni di un normale discorso pacato variano dai 4 ai 5 Hz appena.
Questo primo risultato suggerisce che gli allarmi riescono a intercettare una particolare regione dello spettro acustico associata alle situazioni di pericolo.
Le corde della paura. In effetti, le registrazioni di urla e allarmi, proposte ad alcuni volontari, sono state giudicate "allarmanti" e "aspre" rispetto a tutti gli altri suoni ascoltati. Le immagini in risonanza magnetica funzionale (fMRI) dei soggetti intenti ad ascoltare urla e allarmi hanno mostrato non a caso l'attivazione dell'amigdala, una struttura cerebrale coinvolta nell'analisi e nel ricordo degli stimoli paurosi.
Al momento opportuno. «Le nostre ricerche - conclude David Poeppel, tra gli autori - dimostrano che le urla occupano una nicchia acustica privilegiata che, poiché questi suoni sono separati dagli altri normali segnali di comunicazione, assicura la loro efficienza biologica e sociale: li usiamo solo quando ne abbiamo davvero bisogno».